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Leggi il rapporto “Un fondo sovrano europeo per la transizione climatica”

Gli obiettivi di mitigazione del riscaldamento climatico e di decarbonizzazione delle economie sono diventati il vettore di una nuova rivoluzione industriale basata sulle energie pulite, che ha innestato un processo di trasformazione profonda dei sistemi produttivi ed una tendenziale riconfigurazione del contesto competitivo mondiale. Nel nuovo contesto geopolitico internazionale, il deterioramento relativo del posizionamento europeo può rapidamente aggravarsi. Alla lunga, l’erosione delle capacità di crescita e delle condizioni di vita possono minacciare la sostenibilità sociale e compromettere la stabilità politica di molti paesi. Nella realtà italiana, questi medesimi deficit sono particolarmente ampi.

In questo contesto, il Green Deal europeo diventa un’irrinunciabile piattaforma strategica di competitività e rilancio del progetto europeo, ovvero un’occasione irripetibile di trasformazione e di crescita anche per l’economia italiana. Tuttavia, nonostante la sua importanza, il dibattito politico corrente in Europa ed in Italia non sembra volersi misurare con il tema della sua implementazione, del suo eventuale ampliamento e soprattutto del suo rifinanziamento.

Per l’Unione europea, le stime degli investimenti necessari per l’implementazione del Green Deal implicano un ammontare di investimenti annui, nel periodo 2021-2030, dell’ordine di circa 1.285 miliardi all’anno, pari all’8% del Pil UE 2022. Con riferimento all’Italia, l’ordine di grandezza degli investimenti necessari alla transizione energetico-climatica ammonta, secondo il PNIEC, a circa 118 miliardi annui (6% del Pil 2022). Risorse finanziarie ancora più ampie sono necessarie nei decenni successivi per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. La Commissione europea stima in 1,5-1,6 mila miliardi di euro medi annui tra il 2031 ed il 2050 a cui corrisponde uno sforzo di finanza pubblica a livello europeo approssimabile nell’ordine di circa 975-1040 miliardi annui a prezzi 2023 (ovvero circa il 5% del Pil UE al 2050).

L’entità dello sforzo finanziario necessita ovviamente di un’ingente mobilizzazione di risorse private. La transizione ecologica non può tuttavia prescindere da un contributo significativo di investimenti e di incentivi pubblici, soprattutto per adeguare la dotazione infrastrutturale del Paese, intervenire nelle aree di minore interesse di mercato ed indirizzare correttamente gli investimenti privati. Secondo le stime della Commissione europea, il contributo delle finanze pubbliche si commisura in media al 64% del fabbisogno di investimenti complessivo. Uno sforzo di finanza pubblica dell’ordine annuo del 4-5% del Pil (3,5%-4% al netto degli effetti indiretti), centrato soprattutto sulla transizione energetica ed ecologica appare indispensabile per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Unione e per difendere il posizionamento dell’economia europea ed italiana nel nuovo contesto competitivo mondiale.

Tuttavia, l’entità dello sforzo finanziario per molti Paesi europei (e sicuramente per l’Italia) è in contraddizione con la necessità di stabilizzare il debito pubblico e in contrasto con gli impegni recentemente sottoscritti in sede di revisione del Patto di Stabilità e Crescita. Le linee di riforma del Patto, approvate dal Consiglio europeo il 21 dicembre 2023, non appaiono infatti compatibili con l’entità dello sforzo di investimento necessario per dare attuazione al Green Deal. Per quasi tutti i Paesi dell’Unione, infatti, i nuovi vincoli posti dal nuovo Patto comportano l’adozione di politiche di bilancio restrittive nell’orizzonte dei prossimi 4-7 anni. Con le risorse del NGEU in esaurimento entro il 2026, di cui solo una parte dedicata alla transizione climatica, il rispetto dei nuovi vincoli europei rende impossibile per molti paesi dell’Unione (e sicuramente per l’Italia) la realizzazione degli obiettivi del Green Deal.

Per affrontare il problema della limitata capacità fiscale degli Stati membri più indebitati, l’istituzione di un fondo sovrano europeo dedicato all’energia e al clima (European Energy and Climate Sovereign Fund), potrebbe ispirarsi alle soluzioni tecnico-legali già adottate e legittimate dal NGEU, la cui principale novità era rappresentata dalla possibilità di indebitarsi sul mercato dei capitali al fine di erogare agli Stati membri non solo prestiti, ma anche e soprattutto finanziamenti a fondo perduto (grants). L’architettura legale del NGEU non richiede riforme normative o revisione dei Trattati istitutivi dell’Unione e può quindi utilmente rappresentare la base anche per il nuovo fondo. Con una dotazione di risorse, rinnovabile ogni quinquennio, il fondo potrebbe sistematicamente coprire circa un quinto delle necessità complessive di investimento stimate per il periodo 2031-2050 e le proiezioni sulle potenziali entrate di pertinenza diretta del bilancio dell’Unione sarebbero adeguate a garantire il pagamento degli interessi ed il rimborso a scadenza dell’indebitamento del fondo.

La costituzione di un fondo sovrano europeo dedicato all’energia ed al clima è quindi legalmente e tecnicamente fattibile e dovrebbe rappresentare un tema dirimente del dibattito politico, soprattutto nella prospettiva della prossima elezione del Parlamento europeo e del rinnovo della Commissione. Il definanziamento del Green Deal, che deriverebbe dalla rinuncia a dare continuità alla fruttuosa esperienza del NGEU, non solo depotenzierebbe la possibilità di mitigare la minaccia climatica, ma comprometterebbe il posizionamento competitivo dell’Europa (e ancor più dell’Italia) nel contesto mondiale, indebolendone strutturalmente il potenziale di crescita di lungo periodo.

Leggi il rapporto “Un fondo sovrano europeo per la transizione climatica”

 

Foto di Martin Vorel

 

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