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 Superbonus 110% oggi al 70%, al 65% l’anno prossimo e poi ben più giù negli anni a venire a seguito delle modifiche decise dal Decreto superbonus approvato dal governo lo scorso 15 maggio. Ma, anche se i numeri oggi secondo gli esperti sono sul binario della “sicurezza”, restano molti problemi aperti e ci sono polemiche a non finire da parte dei tecnici, costruttori, banche, consumatori.

Tema: la riqualificazione edilizia di un patrimonio edilizio spesso vecchio ed energivoro, insieme alla tenuta del conti pubblici e alla “delicatezza” della retroattività di una legge. Sono questi gli ingredienti di una “telenovela”, quella appunto del Superbonus 110% che va avanti ormai da quattro anni, da quel 2020 quando l’allora governo Conte II – sostenuto da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali e Italia Viva – approvò questa “rivoluzione” che aveva il fine di riqualificare parte delle case degli italiani. Ma soprattutto il fine, apprezzabile, di fare ripartire dopo la pandemia un settore chiave per l’economia italiana come quello edile. Tre governi hanno poi via via cambiato le norme, a partire da quel Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio) che “inventava” il meccanismo della “cessione del credito”, fino a pochi giorni fa, quando il governo Meloni ha rischiato di spaccarsi viste le differenze di vedute sul tema tra il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (Lega) e il vicepremier Antonio Taiani (Forza Italia) che non avrebbe voluto la retroattività di alcuni mesi.

Il superbonus oggi

Spese detraibili per i condomini non più in 4, ma in 10 anni e stretta forte sulle ristrutturazioni col rimborso che dal 2028 fino al 20233 scenderà al 30%. È questa la novità più rilevante. Ci sono ancora agevolazioni – ad esempio si può oggi e fino al 31 dicembre’24 detrarre dall’Irpef il 50% delle spese sostenute per lavori con un limite massimo di 96mila euro per appartamento – ma siamo lontani ormai dal famoso, o famigerato, 110%. Da ricordare anche che l’obbligo di ripartizione in dieci anni vale solo per l’utilizzo diretto in dichiarazione dei redditi dei bonus e non riguarda l’utilizzo dei crediti d’imposta derivanti da cessione o da sconto in fattura. Dunque le imprese che hanno acquisito i crediti per i lavori, possono proseguire con la ripartizione in quattro rate (o cinque per il sismabonus) .

I rischi

Una situazione molto diversa rispetto all’originario 110%. Questo per i rischi causati ai conti pubblici dalla norma visto che l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPb) ha calcolato che «L’ammontare del Superbonus nel periodo 2020-23 è stato pari a circa 170 miliardi di euro. Quanto rilevato in termini di competenza economica nel quadriennio 2020-23 inciderà, a livello di debito, soprattutto sul triennio 2024-2026: a un impatto in media annua pari allo 0, 5% del PIL nel triennio 2021-23, seguirà un onere più elevato pari a circa l’1, 8% in quello successivo». Insomma, una catastrofe economica.

La cura Giorgetti

Il ministro dell’economia tenta di rimettere la “macchina” in carreggiata e, secondo dati della Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) , la “cura” pare funzionare. Marzo scorso è stato l’ultimo mese che ha intercettato lo sconto altissimo del 90/110% sui cantieri di riqualificazione e ciò per quel mese faceva sì ci fossero ancora investimenti per 5,7 miliardi di euro, detrazioni per 7,8 miliardi con oltre 13mila nuovi cantieri. Ad aprile invece i nuovi cantieri sono stati “solo” 1.063 per “appena” 344 milioni di euro di nuovi investimenti e detrazioni per circa 400 milioni. Insomma, la macchina rallenta molto, da qui il plauso del commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni (Pd) che ricorda come la «misura ha avuto anche effetti positivi, ma è andata fuori controllo e il governo fa bene a porvi rimedio».

Il conflitto

L’associazione bancaria italiana, l’Abi presieduta da Antonio Patuelli, lancia però l’allarme da settimane e in un documento chiede che «Parlamento e governo prendano nella dovuta considerazione gli elementi di retroattività che ancora persistono, visto che la norma dice che i crediti comprati dal primo gennaio scorso non possono essere detratti, rendendo peraltro impossibile per le banche compensare i crediti d’imposta acquistati nel tempo. L’impatto sulle banche non è calcolabile perché ci sono troppi combinati disposti, non essendo una norma piana». Anche per i costruttori la situazione + molto complessa visto che, dopo la crescita delle imprese nel 2020, secondo i dati del registro delle imprese delle Camere di commercio il saldo negativo è di ben 11mila edili tra il settembre 2020 e il settembre 2023.

Dunque per le imprese del comparto edilizia ora si apre uno scenario problematico: «Siamo consapevoli della situazione – spiega Federica Brancaccio, presidente di Ance – associazione nazionale costruttori edili – ma minare la fiducia nello Stato può creare un danno maggiore: la stretta decisa fa male alle banche e chiude un rubinetto per le imprese». Consumatori. Dice Fabio Pucci, presidente dell’Unione piccoli proprietari immobiliari: «Qui si tocca il portafoglio dei piccoli proprietari e dei condòmini che si sono semplicemente fidati di una legge dello Stato. Non si tiene minimamente conto delle 18 milioni di famiglie che abitano nella casa di proprietà». Secondo diverse associazioni di consumatori, infine, siamo davanti a un “tradimento” da parte dello Stato e molte valutano class action per i propri iscritti.  © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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