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Viviamo in un momento di enorme innovazione. L’automazione, l’intelligenza artificiale, il continuo miglioramento della potenza di calcolo, con il progredire dei computer quantistici, rappresentano general purpose technologies, cioè tecnologie ad ampio utilizzo, che stanno evolvendo molto rapidamente e stanno generando svariate applicazioni. Le auto senza pilota, la robotizzazione di diverse attività industriali, i cambiamenti nella ricerca per la produzione di nuovi farmaci sono solo alcuni dei moltissimi possibili esempi.

Quanto velocemente si diffonderanno e quanto profondamente permeeranno i diversi settori economici? La risposta dipende certamente da considerazioni di tipo tecnologico ed economico: ovvero, dalla misura in cui l’avanzamento tecnologico renderà queste innovazioni efficaci e poco costose nei diversi settori economici. Tuttavia, è importante anche l’aspetto giuridico: è notizia di pochi giorni fa l’approvazione definitiva dell’AI Act, il primo regolamento europeo relativo all’intelligenza artificiale. La regolamentazione risponde all’opinione pubblica, che, almeno nelle democrazie occidentali, influenza le scelte politiche. La reazione dell’opinione pubblica alle innovazioni determina dunque la loro traiettoria di sviluppo. Un’opinione pubblica ostile rischia di rallentare la diffusione dell’innovazione, ad esempio facendo in modo che ne sia più complicato l’utilizzo o che sia resa più costosa.

Uno sguardo storico suggerisce che ottenere il favore dell’opinione pubblica non è banale. Nonostante l’innovazione sia acclaratamente una delle principali determinanti della crescita economica e del miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, gli innovatori – e l’innovazione – raramente nei secoli hanno avuto vita facile.

L’ostilità all’innovazione si è manifestata per ragioni diverse e da parte di categorie di individui diverse. Molti dei contrari erano persone la cui attività veniva rimpiazzata dall’innovazione, che agivano per interesse in un certo senso utilitaristico. Tipico esempio è il fenomeno del luddismo, movimento inglese di protesta operaia a cui hanno aderito, durante la prima rivoluzione industriale, lavoratori in prevalenza manuali che temevano l’automazione potesse minacciare i propri posti di lavoro e conseguentemente la propria stabilità economica.

La resistenza, tuttavia, proveniva anche da intellettuali e scienziati, come ben documentato dallo storico dell’economia Joel Mokyr nel suo noto libro “I doni di Atena”. In parte perché l’innovazione e le nuove idee andavano a scardinare sistemi di conoscenze che si davano per acquisiti. Così, per citare uno degli esempi, il grande fisiologo Claude Bernard, fondatore della medicina sperimentale, rifiutava l’uso della statistica in medicina, contrapponendola all’evidenza sperimentale. Per altra parte, sulla base di riserve di natura etica. Ad esempio, molti scienziati resistettero all’anestesia, scoperta dallo scienziato inglese Humphry Davy nell’Ottocento, sostenendo che un parto privo di dolore fosse innaturale, anche perché il dolore era esplicitamente menzionato nelle Sacre Scritture. Anche Charles Baudelaire riteneva che i gas anestetici riducessero la libertà umana e l’ineliminabile sofferenza ad essa connessa, e perciò vi si opponeva. Queste obiezioni etiche ci fanno forse oggi sorridere; ma in altri casi, quali ad esempio quello delle innovazioni nel settore degli armamenti, emblematicamente rappresentabili dalla bomba atomica, paiono al contrario a molti legittime.

Le innovazioni di oggi sono potenzialmente soggette a tutti i tipi di resistenze che abbiamo visto fin qui. I camionisti o i tassisti potrebbero avversare l’adozione di auto autonome con motivazioni utilitaristiche, e così tutti coloro che rischiano di perdere il proprio posto di lavoro e la relativa stabilità economica a causa della robotizzazione. Altrettanto importanti sono le motivazioni etiche, specialmente di fronte a un’innovazione, quale l’intelligenza artificiale, che si propone di sostituire la mente e il ragionamento umano.

Per evitare che queste preoccupazioni si trasformino in opposizione, ma portino invece, se possibile, a proposte di politiche costruttive e migliorative, tali da aumentare l’accettabilità dell’innovazione, è utile impostare un dibattito pubblico sul tema.

A esso abbiamo cercato di contribuire con una sessione del Festival dell’Economia di Trento domenica 26 maggio, organizzata dal sindacato dei giornalisti del Trentino Alto Adige in collaborazione con la nostra Università di Bolzano. Sarà coordinata da Rocco Cerone e vi parteciperanno, oltre al sottoscritto, il collega economista all’Università di Bolzano Francesco Ravazzolo, il Custode di Terra Santa Padre Francesco Patton, giornalista anch’egli, il rettore di Open Institute of Technology Francesco Profumo, il filosofo Cosimo Accoto e la segretaria generale della Federazione nazionale della stampa italiana Alessandra Costante, che tirerà le conclusioni. L’auspicio è di poter elaborare delle proposte che, lungi dall’ostacolare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel giornalismo, ne favoriscano un uso equo e trasparente, in grado di massimizzarne i benefici e limitarne i rischi.

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