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Orientamenti giurisprudenziali

Conformi:

Cassazione penale, sez. sez. II, 14 marzo 2023, n. 13352

Cassazione penale, sez. V, 14 gennaio 2020, n. 1203

Cassazione penale, sez. II, 18 dicembre 2019, n. 16059

Cassazione penale, sez. II, 19 aprile 2016, n. 33725

Cassazione penale, sez. un., 23 febbraio 2000, n. 7

Difformi:

Non si rinvengono precedenti

Secondo la Cassazione, il drenaggio di merci e risorse liquide da parte dell’amministratore della società – integrativo del delitto di bancarotta per distrazione una volta dichiarato il fallimento della società – quando non seguito dalla declaratoria di fallimento concreta, comunque, il reato di appropriazione indebita, che ben può rappresentare il delitto presupposto dell’illecito di autoriciclaggio.

Il fatto

In sede di merito, l’amministratore di fatto di una società fallita era accusato di aver sottratto o distrutto l’impianto contabile e distratto tutti i beni dell’impresa – capi di abbigliamento e risorse liquide, contabilmente rilevate dal curatore fallimentare –, trasferendo tali disponibilità ad altre società a lui collegate, amministrate formalmente dalla di lui consorte. Inoltre, al medesimo soggetto era contestato il delitto di auto-riciclaggio, potendo ragionevolmente ritenersi che, attraverso tali operazioni di trasferimento dei beni, egli avesse operato per ostacolare la identificazione della provenienza delittuosa – appunto dal delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione – dei beni e del denaro trasferiti ad altre imprese e società a lui di fatto, anche tramite la coniuge, riconducibili.

Veniva disposto a carico degli indagati un sequestro preventivo di importo pari al valore di quanto sottratto in capo alla società fallita. Il decreto di sequestro era confermato in sede di riesame e contro tale ultima decisione era presentato ricorso per cassazione.

Una prima censura difensiva riguardava la circostanza che l’ipotizzato delitto di autoriciclaggio sarebbe stato commesso a partire da un’epoca precedente alla dichiarazione di fallimento e tale rilievo avrebbe impedito di configurarlo, perché la sua consumazione, nella prospettazione accusatoria, si sarebbe realizzata in assenza del delitto presupposto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che potrebbe venire ad esistenza soltanto con la declaratoria di fallimento.

Con un secondo motivo si denunciava violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del fumus del delitto di autoriciclaggio. La difesa, infatti, sosteneva che

la condotta attribuita come “distrazione” fallimentare coinciderebbe con quella oggetto dell’accusa di autoriciclaggio – che, di contro, esigerebbe un quid pluris consistente nell’idoneità della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni – e, sullo specifico profilo, il tribunale avrebbe omesso di prendere posizione.

La decisione

La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso.

Quanto al primo aspetto, inerente alla supposta antecedenza temporale delle condotte di distrazione rispetto alla pronuncia della sentenza di fallimento, la sentenza in commento ricorda come “il delitto di autoriciclaggio riguardante il provento del delitto presupposto di bancarotta fraudolenta è configurabile anche nell’ipotesi di condotte distrattive compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali condotte siano “ab origine” qualificabili come appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 cod. pen., per effetto del rapporto di progressione criminosa esistente fra le fattispecie, che comporta l’assorbimento di tale ultimo delitto in quello di bancarotta fraudolenta quando venga dichiarato fallito il soggetto ai danni del quale l’agente ha realizzato la condotta appropriativa” (Cass., sez. V, 14 gennaio 2020, n. 1203; Cass., sez. II, 19 aprile 2016, n. 33725). In tale prospettiva interpretativa, l’inquadramento giuridico della sentenza dichiarativa di fallimento quale elemento essenziale o condizione obbiettiva di punibilità – sul quale si è profusa la doglianza di ricorso – non appare risolutivo, dal momento che il drenaggio di merci e risorse liquide da parte dell’amministratore della società – integrativo del delitto di bancarotta per distrazione una volta dichiarato il fallimento della società – si sarebbe comunque sostanziato, in assenza della declaratoria di fallimento, nel reato di appropriazione indebita, che rappresenta pertanto segmento di un fenomeno di consunzione ed elemento

Quanto alla sussistenza del fumus del delitto di autoriciclaggio, la Cassazione – ricordato come in tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del tribunale del riesame o della corte di cassazione non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi” (Cass., sez. un., 23 febbraio 2000, n. 7) – evidenzia come la condotta contestata all’indagato non era consistita nell’operazione di mero dirottamento delle risorse patrimoniali della fallita – già addebitata come bancarotta fraudolenta patrimoniale – ma nel reimpiego delle disponibilità, anche attraverso il loro trasferimento, in altre attività imprenditoriali a lui riconducibili, caratterizzate da diverse denominazioni e, sia pure in parte, attribuite formalmente alla gestione di terzi, tra cui la di lui moglie. Orbene, secondo il giudice di legittimità, il procedimento di “occultamento” della sorte dei beni, anche a riguardo della fase della “confusione” nel patrimonio e nel dinamismo operativo delle imprese di destinazione, è stato senza dubbio agevolato dalla sottrazione dell’intero impianto contabile della fallita, che ne ha ostacolato, se non del tutto impedito, il tracciamento.

Tali modalità comportamentali integrano il distinto delitto di autoriciclaggio ex art. 648-ter.1 cod. pen., come del resto affermato dalla giurisprudenza secondo cui “sussiste concorso tra il reato di bancarotta per distrazione e quello di autoriciclaggio nel caso in cui alla condotta distrattiva di somme di denaro faccia seguito un’autonoma attività dissimulatoria di reimpiego in attività economiche e finanziarie di tali somme, in quanto si verifica in tale ipotesi la lesione della garanzia patrimoniale dei creditori, sia la lesione autonoma e successiva dell’ordine giuridico economico, mediante l’inquinamento delle attività legali” (Cass., sez. II, 14 marzo 2023, n. 13352). Peraltro, come è noto, “in tema di autoriciclaggio, è configurabile la condotta dissimulatoria nel caso in cui, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso il mutamento de/l’intestazione soggettiva del bene, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto illecito è idonea a ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successivo trasferimento” (Cass., sez. II, 18 dicembre 2019, n. 16059).

In proposito, le decisioni dei giudici di merito hanno dato conto del fumus dei profili decettivi dell’investimento delle risorse, oggetto di distrazione fallimentare, in autonome realtà imprenditoriali, anche per tramite dell’interposizione di soggetto terzo, con la ragionevole finalità di proseguire l’attività commerciale precedentemente svolta dalla società fallita.

Né vale ipotizzare, in tale scenario, l’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 648 ter.1 comma 5 cod. pen., perché i meccanismi manipolativi e di “schermatura” adottati e così illustrati nulla hanno a che vedere con i connotati “statici” dell’utilizzo o del godimento personale del bene proveniente dal delitto presupposto.

Esito del ricorso:

Rigetto del ricorso in parte qua

Riferimenti normativi:

Art. 646 c.p.

Art. 648 ter.1 c.p.

Art. 216, comma 1 n. 2, Regio Decreto n. 267 del 1942

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