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C’è uno spettro che si aggira per l’Europa: l’antieuropeismo. Alle prossime elezioni, se ancora quasi la metà di chi ha diritto al voto non si recherà alle urne, l’europeismo della maggioranza silenziosa democratica e liberale potrebbe soccombere. La maggior parte degli antieuropei critica pesantemente l’Ue per essere un progetto elitario, che mina la sovranità nazionale e impone costi pesanti ai singoli paesi.

Le critiche vengono anche da prospettive diverse: da un lato l’Europa è attaccata per aver promosso il libero scambio, la globalizzazione e la politica di austerità, dall’altra per aver minato i valori tradizionali e ignorato i pericoli posti dai migranti, dai cambiamenti nei ruoli di genere e dal secolarismo.

Purtroppo il tema dei diritti e delle libertà in Europa sembra essersi disperso nei ragionamenti di una facile ideologia populista e sovranista, che ha strumentalizzato alcuni aspetti critici che pure vi sono nelle nostre società, ma ai quali vengono date risposte quanto meno superficiali e contraddittorie.

Sono questi soprattutto i temi dell’immigrazione e delle politiche economiche, sul green e sulle diseguaglianze in particolare, come anche sulla famiglia e contro le nuove discriminazioni, nonché della politica estera, su cui è opportuno soffermarsi, per coglierne le falsificazioni e le distorsioni degli antieuropeisti, che pure si candidano al parlamento europeo.

Le accuse all’Europa

Una questione molto enfatizzata dalla propaganda più recente riguarda le politiche dell’Europa sull’agricoltura: in Italia si accusa Bruxelles perché non verrebbe incontro alle esigenze degli agricoltori, posto che non tutelerebbe il Made in Italy. Si dimentica però che proprio grazie al sistema europeo di certificazione dei marchi Dop, Igp, Stg sono stati valorizzati gli standard produttivi di alta qualità dei prodotti italiani.

Si dimenticano anche i miliardi di aiuti agli agricoltori italiani venuti dai fondi europei della Pac (Politica agricola comune) – nettamente superiori al contributo nazionale, per non parlare dei sostegni al Pnrr – su cui qualche italiano ha pure lucrato in maniera poco chiara. L’altro inganno è sul tema dell’immigrazione: si accusa l’Europa di aver lasciato sola l’Italia a gestire il peso dei flussi migratori che vengono dal Mediterraneo.

A parte l’incidenza delle “seconde destinazioni” – molti stranieri dall’Italia prima o poi finiscono per dirigersi nei più ricchi paesi europei – c’è una semplice obiezione per i sostenitori del sovranismo: se vinceranno gli antieuropei come pensano di affrontare una ripartizione solidale degli immigrati con i partiti che nelle varie nazioni – non solo l’ Ungheria di Orbán – hanno a cuore la “difesa dei confini” e il “primato nazionale”?

Miopia

Ancora c’è il tema climatico: si vuole rallentare il cammino virtuoso verso la transizione verde rassicurando così i cittadini che non saranno più costretti a comprare un’auto elettrica, ma si nascondono le conseguenze. Non ci si rende conto che un’accelerazione nella scelta green avvantaggerebbe l’Italia e l’Europa.

La transizione verde consentirebbe la spinta a uno sviluppo economico sostenibile e un rilancio industriale e occupazionale. Si aprirebbe anche la prospettiva di competere sul piano globale, specie di fronte alla Cina che è assurta a centro produttivo di assoluto rilievo e leader delle esportazioni proprio in Europa nelle energie rinnovabili, cominciando da pannelli fotovoltaici, batterie e autovetture elettriche.

Quanto al tema delle diseguaglianze, è ormai abusata la tesi delle lobby dell’Unione che tutelano i poteri economici. Nessuno ricorda che proprio la stringente normativa europea Antitrust evita extraprofitti e strapotere di oligopoli e tutela i consumatori, né si parla del progetto Taxing Great Wealth (tassare i grandi patrimoni) allo studio della Commissione Ue. È evidente la distonia dei populisti/sovranisti antieuropei che predicano la lotta ai ricchi: come possono i partiti nazionalisti sostenere la proposta se il core, il nucleo del loro progetto, sta nel modello «Meno Europa», ovvero per un ritorno alle nazioni dove ciascuna è libera di disallinearsi da un indirizzo comune, anche sui principi di un prelievo fiscale equo, proporzionale al profitto?

Processi nuovi

La questione del processo decisionale in generale è proprio l’aspetto più critico dell’impostazione di chi sostiene l’arretramento all’Europa delle Nazioni. Si vuole far prevalere la “sovranità nazionale” confermando la regola dell’unanimità, ma nell’Europa a 27 è evidente la necessità di passare a un processo decisionale più agile adottando la regola della maggioranza. La riforma in questo senso è necessaria ad esempio sulla fiscalità, sulle politiche migratorie e per la politica estera in generale: lo si è visto nelle crisi internazionali più recenti, dall’Ucraina a Gaza, dove l’Ue si è rivelata ancora un “nano strategico” per la paralisi originata dal blocco delle decisioni da parte di uno o due paesi membri.

Più insidiose sono poi le critiche degli antieuropei contro l’Europa dei diritti civili e sociali che attengono alle scelte fatte a suo tempo con le leggi su parità di genere, divorzio, contraccezione, riproduzione assistita, aborto, diritti per lgbt, e sui nuovi modelli di unione familiare. Per nulla sensibili all’idea dei cambiamenti della società e al percorso compiuto dall’Europa contro ogni discriminazione, è questo il mondo di chi vuole un’Europa ripiegata su sé stessa, nazionalista e illiberale, per cui anche per questo intende frenare il suo orientamento “liberale” per restituire il potere agli stati membri in questi ambiti. Qui le idee degli antieuropei si stagliano sulla difesa dei “valori tradizionali”: hanno una strana assonanza con quelli richiamati da Trump, Bolsonaro, e persino dallo stesso Putin.

Il falso pacifismo

Questa è la prospettiva che introduce agli ultimi temi della propaganda antieuropeista nella politica estera: si attacca la nuova leadership franco-tedesco-polacca – cui si sono associati i paesi del “blocco del nord-est”, Finlandia, Svezia, Norvegia e paesi baltici – che vuole incrementare la deterrenza dello strumento difensivo europeo oltre che aiutare con fermezza l’Ucraina, e quindi si rilancia la trappola del pacifismo, con addirittura la proposta shock di scogliere la Nato.

Tutti gli italiani vorrebbero la pace: peccato che non la vuole la Russia che ha aggredito l’Ucraina e vuole ritornare a riprendersi i confini perduti, con la pretesa di difendere milioni di russofoni. Da tempo gli antieuropei stanno facendo il lavoro del Cremlino dividendo l’Europa dall’interno, a cominciare dai ritardi e dai distinguo sulle scelte per le sanzioni sugli asset russi nelle banche centrali europee e lesinando gli aiuti militari all’Ucraina perché eserciti il suo “diritto di difesa” adeguatamente di fronte a un aggressore imputato per crimini di guerra e contro l’umanità dalla Corte penale internazionale.

Il nemico ha disseminato il mainstream di un’Europa sottomessa alla volontà degli Usa che ha “convinto” l’Ucraina a non firmare i negoziati (per la resa, con la cessione dei territori conquistati) e ora starebbe provocando la terza guerra mondiale. L’Unione europea fortunatamente sta facendo una scelta responsabile non per un intento bellicista, ma per ristabilire l’equilibrio delle forze sul campo e consentire all’Ucraina di arrivare alla pace non in una situazione di totale sottomissione.

L’Europa «Comunità di diritto» non può accettare quello che sarebbe un pericoloso precedente per la sua stessa integrità e sicurezza: arrendersi di fronte a una “aggressione” contraria al diritto internazionale, come sancito da 140 stati all’Assemblea generale delle Nazioni unite e da una pronuncia della Corte di giustizia. Agli antieuropei va ricordato anche quello per cui si stanno ancora sacrificando con la vita gli ucraini in guerra e rischiano la galera, o altro di peggio, i giovani georgiani che lottano contro le leggi liberticide dei filorussi al governo: si tratta del loro progetto di adesione all’Unione europea, che vedono come la sola speranza per un futuro di sicurezza, libertà e prosperità.

Votare per le libertà

Alle ultime elezioni politiche, svoltesi il 25 settembre 2022 per eleggere i rappresentanti del parlamento nazionale, in Italia non ha votato il 36 per cento degli aventi diritto al voto: il 64 per cento di votanti rappresenta l’affluenza più bassa di tutta la storia repubblicana.

Alle elezioni europee del 26 maggio 2019 coloro che pur avendone diritto non hanno votato hanno raggiunto il 45,5 per cento.

C’è da sperare che le maggioranze silenziose ritornino alle urne e sappiano domandarsi alla fine come tutelare anch’esse i diritti e le libertà: si può cominciare proprio con l’esprimere il voto, che noi europei possiamo fare liberamente, compiendo una scelta consapevole.

Per decidere è sufficiente anche avvalersi dei tanto vituperati social digitali: basta ascoltare le parole e misurare gli atteggiamenti dei candidati per individuare chi può rappresentare davvero il progetto dell’Ue, che è ancora quello del Manifesto di Ventotene, e preservarne i valori fondativi: lo stato di diritto, la libertà di espressione, e l’uguaglianza nei diritti economici, sociali e culturali. Questo voto sarà decisivo per l’«Europa dei diritti e delle libertà».

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