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All’indomani della pubblicazione della sentenza numero 15130 del 29 maggio 2024, le reazioni non si sono fatte attendere, ingenerando dispute dialettiche, anche particolarmente accese.

Alcuni organi di stampa si sono premurati di intervenire sulla questione, decretando, in alcuni casi, con malcelata enfasi, che la Suprema Corte, con la pronuncia in commento, avrebbe sancito, una volta per tutte, la piena legittimità dei piani di ammortamento utilizzati dalle banche italiane (e non solo, naturalmente).

Cercheremo di analizzare, asetticamente, la decisione in commento, con l’auspicio di fornire una chiave interpretativa corretta e di contribuire al dibattito di questi ultimi giorni.

A tale scopo, esaminando pagina per pagina e, soprattutto, riga per riga la sentenza in oggetto, verificheremo le specifiche questioni affrontate, anche incidentalmente, dal Supremo Collegio e le corrispondenti affermazioni e statuizioni.

Cominciamo dalle caratteristiche del contratto di mutuo bancario che è stato portato all’attenzione della Corte: si tratta di un mutuo a tasso fisso, recante l’indicazione dell’importo mutuato, della durata del prestito, delle numero delle rate costanti di rimborso, del TAN (tasso annuo nominale), del TAE (tasso annuo effettivo), con piano di ammortamento allegato al contratto, contenente la specificazione della quota per capitale e della quota per interessi di cui si compone ciascuna rata.

La prima considerazione, del tutto ovvia, è che l’ambito dell’indagine demandata al Supremo Collegio appare, obiettivamente, ristretto: i contratti di mutuo aventi tutte le indicate caratteristiche rappresentano la minoranza dei rapporti in circolazione e, certamente, un campione tutt’altro che significativo.

Lo stesso Collegio, del resto, si preoccupa di definire, immediatamente, i limiti del proprio intervento, affermando, a pag. 12, capoverso 8 del provvedimento, che l’assumenda decisione “non riguarderà né i piani di ammortamento relativi ai contratti di mutuo a tasso variabile, né le conseguenze derivanti dalla mancata allegazione o inserzione del piano di ammortamento nel contratto”.

Tale espressa statuizione ha una prima, significativa, conseguenza: avendo il Collegio così puntualmente delimitato l’ambito di efficacia della propria decisione, restano irrisolte le seguenti questioni legate alla mancata indicazione e pattuizione, in contratto, della modalità di ammortamento e del criterio di determinazione delle rate di rimborso:

  1. nullità dei contratti di mutuo a tasso variabile, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, ai sensi degli 1346 e 1418, comma 2, c.c., ovvero per mancanza di un elemento tipizzante del contratto, previsto dall’art. 117, comma 4, T.u.b.;
  2. nullità dei contratti di mutuo, a tasso fisso, caratterizzati dalla mancata allegazione o inserzione del piano di ammortamento, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, ai sensi degli 1346 e 1418, comma 2, c.c. ovvero per mancanza di un elemento tipizzante del contratto, previsto dall’art. 117, comma 4, T.u.b.

Per quanto sopra, appare evidente che l’opinione di chi, nell’immediatezza della pubblicazione del provvedimento in commento, ha sostenuto che le contestazioni relative agli interessi dei mutui bancari debbano considerarsi ormai improponibili, sia frutto di una lettura poco attenta del provvedimento, smentita dalla chiarissime parole fatte proprie dal Collegio.

Definita, dunque, la categoria dei mutui/finanziamenti per i quali si potrà e dovrà invocare l’autorità della sentenza in commento, passiamo all’esame, analitico, delle questioni affrontate dalla Corte e dei principi giuridici affermati.

Nel capoverso 9 del provvedimento, il Collegio dichiara di voler illustrare le caratteristiche dell’ammortamento “alla francese”, definendolo “il più diffuso in Italia”, in quanto tale riconosciuto dalla Banca d’Italia, nelle proprie istruzioni del 29 luglio 2009.

Secondo la Corte, le caratteristiche di tale ammortamento sono:

  • pagamento del debito a rate costanti, comprensive di una quota capitale crescente e di una quota interessi decrescente;
  • interessi calcolati sin da subito sull’intero capitale erogato e via via sul capitale residuo;
  • quote di capitale quantificate in misura pari alla differenza tra l’importo concordato della rata costante e l’ammontare della quota interessi;
  • progressiva diminuzione della quota ascrivibile agli interessi e corrispondente aumento della quota ascrivibile a capitale, derivante dall’abbattimento del capitale (debito) residuo e dalla riduzione del montante sul quale gli interessi (maturati nell’anno) sono calcolati. Soffermiamoci sulle caratteristiche descritte sub numeri 2) e 4) ed osserviamo quanto

La Corte, da un lato, afferma che, in questo tipo di ammortamento, gli interessi sono calcolati “inizialmente sull’intero capitale erogato e poi sul capitale di volta in volta residuo” ma, poco dopo, sostiene che gli interessi medesimi sono calcolati sul “montante”.

Sotto il profilo matematico, queste due affermazioni risultano incompatibili e si espongono ad una facile obiezione.

Per definizione della stessa matematica finanziaria, infatti, per “montante” si intende “il valore monetario, riferito al termine di un intervallo di tempo, comprensivo del capitale iniziale e degli interessi maturati nell’intervallo di tempo di riferimento”.

Ne consegue, quindi, che, definendo le caratteristiche di un determinato piano di ammortamento, è possibile affermare, in matematica, esclusivamente in via alternativa, che:

  • gli interessi risultano calcolati sul capitale residuo;
  • gli interessi risultano calcolati sul

Tertium non datur.

A ciò, deve aggiungersi un ulteriore rilievo: posto che il montante può essere determinato sulla base di diverse tecniche di calcolo, nell’ambito della   c.d. legge    di    capitalizzazione,    a    seconda    del regime finanziario utilizzato (regime a interesse semplice, composto, anticipato, ecc.), non è possibile descrivere gli elementi caratterizzanti un determinato tipo di ammortamento se non si apprezza, in primo luogo, proprio il regime finanziario cui, in concreto, si è fatto ricorso per la costruzione del piano di rimborso.

Per quanto sopra, considerati gli elementi utilizzati dalla Corte nella descrizione di quello che la stessa definisce “piano di ammortamento alla francese”, ovvero piano “piano più diffuso in Italia”, si deve, necessariamente, ritenere che si sia inteso far riferimento ad un piano di ammortamento, a rata costante, nel regime finanziario dell’interesse composto.

Tale osservazione risulterà di particolare interesse per quanto infra argomentato, in relazione alle successive affermazioni del Collegio.

Nel paragrafo 10 del provvedimento, la Corte procede ad interpretare l’ordinanza di rinvio, individuando la questione di diritto che dovrà essere risolta e delineando, dunque, i confini del proprio intervento.

Il Collegio ritiene che il Tribunale di Salerno abbia sollevato, in sostanza, una questione di trasparenza dell’ammortamento “alla francese”, dubitando che il sottostante contratto di mutuo, in quanto privo della esplicitazione del regime finanziario di capitalizzazione, possa ritenersi determinato e/o determinabile, quanto al corrispondente oggetto e che possa ritenersi “trasparente”, sulla base degli elementi contenutistici essenziali declinati dal quarto comma dell’art. 117 T.u.b.

Ciò ritenuto, la Corte, nonostante rilevi che l’accertamento della tipologia di capitalizzazione in concreto applicata nel mutuo oggetto di causa costituisca una “questione di fatto”, che ad essa “non compete”, dichiara di doversi pronunciare sulla questione sollevata dal Tribunale rimettente, enunciando il principio di diritto con riferimento ai (soli) “piani di ammortamento alla francese standardizzati tradizionali”.

Tale affermazione, come è agevole intuire, pone l’interprete davanti alla necessità di individuare, preliminarmente, i rapporti di mutuo per i quali è destinata ad operare l’enuncianda regula iuris, circoscrivendone il perimetro ai soli contratti cui risulta allegato un piano di ammortamento qualificabile come “alla francese”, “standardizzato” e “tradizionale”.

In difetto di ulteriori e, soprattutto, specifiche indicazioni da parte del Collegio, è chiaro che spetterà al giudice del merito, investito della controversia, stabilire se il piano di rimborso portato alla sua attenzione possa considerarsi o meno “standardizzato” e “tradizionale” (non ponendo, invero, particolari problemi la caratteristica “alla francese”, in quanto la stessa descrive, semplicemente, un meccanismo di rimborso a rata costante).

Inutile nascondere l’insidia di un siffatto accertamento e, soprattutto, le implicazioni sotto il profilo probatorio, atteso che la parte che vorrà beneficiare del principio di diritto enucleato dalla Corte sarà, inevitabilmente, chiamata a dimostrare che proprio quello specifico piano di ammortamento rientri nella categoria dei piani di ammortamento “standardizzati” e “tradizionali”.

Il rischio, in sede di merito, è che si possano presentare gli stessi problemi che contraddistinguono, attualmente, buona parte del contenzioso relativo alle fideiussioni riproducenti il modello ABI, censurato dall’Autorità di Vigilanza, laddove si controverte anche del carattere “standardizzato” e “tradizionale” del modello stesso e della sua generalizzata diffusione nell’ambito del mercato del credito.

Come noto, gli esiti di un siffatto accertamento hanno condotto, sin qui, a decisioni giurisprudenziali diverse e, sovente, antitetiche, aggravando il carico contenzioso.

Entriamo, ora, in medias res, analizzando le affermazioni del Collegio contenute nei paragrafi 12 e seguenti della decisone.

Si parte da una statuizione di estrema rilevanza: la Corte, richiamando un proprio precedente del 2023 (Prima Sezione Civile, ordinanza n. 13144 del

15 maggio 2023, Pres. De Chiara, Rel. Campese), non esclude che l’ammortamento “alla francese” possa condurre ad un “risultato anatocistico” ed afferma che, a tal fine, la parte che deduca una siffatta censura sia onerata dal formulare “specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l’avvenuta concreta produzione, nella specie, di un tale risultato”.

Il Collegio riconosce, dunque, che la vexata quaestio della compatibilità tra piani di ammortamento “alla francese” (in regime composto) e divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c. non può risolversi in astratto, ma che essa debba essere valutata in concreto, caso per caso, verificando, sulla base delle specifiche allegazioni e dimostrazioni che la parte interessata è chiamata a fornire, se tale tipologia di rimborso conduca o meno al fenomeno vietato dalla legge.

Non vi è chi non veda come una siffatta affermazione, data la sua autorevolezza, apra un nuovo ed inedito scenario in relazione alle contestazioni giudiziarie di questo tipo, imponendo al giudice del merito di eseguire, di volta in volta, tutte le verifiche necessarie, non potendo più affrontarsi tale questione in termini puramente astratti (ed accademici).

Da questa significativa premessa, che impone la dimostrazione, concreta ed effettiva, della presenza di un risultato anatocistico nell’ammortamento “alla francese”, il Collegio non sembra trarre, tuttavia, nei capoversi successivi del provvedimento, le logiche conseguenze del proprio ragionamento, giungendo ad affermazioni che mal si conciliano con quanto poco prima esposto ed affermato.

Nel paragrafo 13 del provvedimento, la Corte, dichiarando di recepire le osservazioni della Procura Generale, afferma che: “deve escludersi che la quota di interessi in ciascuna rata sia il risultato di un calcolo che li determini sugli interessi relativi al periodo precedente o che generi a sua volta la produzione di interessi nel periodo successivo”.

Ed ancora: “nel regime composto, la quota di interessi è calcolata applicando il tasso convenuto solo sul capitale residuo, il che esclude l’anatocismo” (viene, all’uopo, citato il precedente di cui Cass. n. 34677/2022).

Ed infine: “la capitalizzazione composta è del tutto eterogenea rispetto all’anatocismo ed è solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all’altra in esecuzione del contratto concluso tra loro; è, in altre parole, una forma di quantificazione di una prestazione o una modalità di espressione del tasso di interesse applicabile ad un capitale dato” (viene citato, qui, il precedente di cui Cass. n. 27823/2023, in materia fiscale).

A sommesso avviso chi di scrive, le suddette affermazioni non appaiono coerenti: se si afferma che l’esistenza di un risultato anatocistico, in violazione del divieto di cui all’art. 1283 c.c., nell’ambito dei piani di ammortamento “alla francese” deve essere valutata non in astratto, ma in concreto, verificando e, soprattutto, dimostrando se tale tipologia di rimborso conduca proprio al fenomeno vietato dalla legge, è chiaro che per negare l’esistenza di un simile risultato occorra “dimostrare” che “in concreto” tale risultato non si sia verificato.

Il Collegio, invero, si limita ad affermare che nell’ambito dei piani di ammortamento “alla francese” non si verifica alcun effetto anatocistico ma, inopinatamente, non fornisce alcuna dimostrazione ed evidenza di una siffatta statuizione, nonostante, a pag. 15 del provvedimento, sia chiaramente statuito che la presenza (e, quindi, a contrario, l’assenza) di tale effetto anatocistico debba essere “dimostrata”.

Proseguendo nel proprio percorso argomentativo, la Corte affronta due ulteriori aspetti:

  • la produzione di interessi su interessi, idonea a determinare un tasso debitore effettivo maggiore rispetto a quello nominale, non ricavabile dalla mera indicazione del TAEG;
  • la meritevolezza dell’interesse perseguito e della causa concreta del negozio, ex 1322 c.c. quali possibili motivi di invalidità dell’ammortamento “alla francese”.

Quanto al primo profilo di valutazione, il Collegio riconosce trattarsi di una vera e propria “patologia”, da affrontare “caso per caso”, sulla base delle domande e delle eccezioni delle parti, attraverso apposita indagine “volta a verificare se nella singola fattispecie siano pretesi o siano stati pagati interessi superiori a quelli pattuiti”, trattandosi di “questione di fatto incensurabile in sede di legittimità”.

Ancora una volta, dunque, la Corte non offre una soluzione ermeneutica erga omes, ma rimanda, di fatto, al giudice del merito il compito di decidere la singola e specifica controversia, evidenziando, nel contempo, l’indefettibile necessità di svolgere le opportune “indagini contabili”.

Quanto al secondo profilo di valutazione, il Collegio, affrontando una questione che, in realtà, non pare trasparire dall’ordinanza di rimessione, sposta la propria attenzione sulla criticità del piano di ammortamento “alla francese” insita nella circostanza della esigibilità dell’interesse anticipatamente rispetto a quella del capitale, con possibile contrasto con la disposizione contemplata dal terzo comma dell’art. 821 c.c.

La Corte, pur riconoscendo che, in tale tipologia di ammortamento, la maturazione del credito per interessi e la sua esigibilità non coincidono, poiché “gli interessi maturano al momento della consegna della somma mutuata, ma divengono esigibili alla scadenza del debito principale in cui diviene esigibile il capitale”, ritiene che tale fenomeno risulti scevro da criticità in quanto, in forza dell’accordo tra le parti, sancito nel contratto cui è allegato il piano, anche il capitale diviene progressivamente esigibile, rendendo così esigibili anche gli interessi calcolati in ragione d’anno.

Secondo la Corte, ciò caratterizzerebbe anche la tipologia di ammortamento nota come “all’italiana”.

Ancora una volta, tali affermazioni più che offrire una soluzione ermeneutica definitiva, danno luogo ad ulteriori interrogativi.

In particolare:

  • la mera allegazione di un piano di ammortamento al contratto di mutuo deve ritenersi condizione necessaria e sufficiente per riconoscere l’esistenza di uno specifico accordo tra le parti in merito al modo ed al tempo secondo cui il capitale e gli stessi interessi divengono esigibili ?
  • è possibile affermare che il meccanismo di esigibilità del capitale e degli interessi, tipico dell’ammortamento “alla francese”, caratterizzi anche l’ammortamento “all’italiana”, laddove quest’ultimo presenta un rimborso di quote capitali costanti nel tempo ?

A tali questioni non sembra sia stata data alcuna risposta.

Il Collegio, a definizione del profilo esaminato, esprime un principio certamente rilevante: è legittimo che gli interessi diventino esigibili prima che diventi esigibile (in tutto o in parte) il capitale (come accade proprio nell’ammortamento “alla francese” che, come noto, contempla il pagamento soprattutto di interessi nelle fasi iniziali di esecuzione del rapporto), a condizione, però, che tale esigibilità sia “convenuta” tra le parti (a pag. 21 del provvedimento, il Collegio, utilizza, non certo a caso, l’avverbio “convenzionalmente”, per ben due volte nello stesso periodo).

Ne possiamo, quindi, dedurre che la caratteristica dell’ammortamento “alla francese” di pagamento anticipato degli interessi non presenta motivi di criticità solo a condizione che tale peculiare esigibilità trovi fondamento e giustificazione nell’accordo tra le parti.

In difetto, si ritiene che anche tale caratteristica potrebbe essere oggetto di contestazione in sede giudiziaria.

Il Collegio, dopo aver affrontato i temi sopra indicati, viene ad esaminare, a pag. 22 e seguenti del provvedimento, le questioni sollevate dal giudice rimettente.

Alla prima questione, inerente la possibile nullità parziale del contratto di mutuo per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto a causa dell’omessa indicazione, nel medesimo contratto, del regime composto degli interessi e della modalità di ammortamento “alla francese”, il Collegio offre risposta negativa.

Risposta negativa, si badi bene, solo nel caso in cui il contratto contenga le indicazioni proprie del tipo legale di cui agli artt. 1813 ss. c.c., vale a dire:

  • indicazione dell’importo erogato;
  • durata del prestito;
  • periodicità del rimborso;
  • tasso di interesse

In aggiunta a ciò, secondo la Corte, è necessario che sia comunque soddisfatta la possibilità, per il mutuatario, di ricavare, agevolmente, l’importo totale del rimborso “con una semplice sommatoria, che deriva, come verificatosi nella fattispecie oggetto di causa, dalla esistenza di un piano di ammortamento, allegato al contratto, che indichi il numero e la composizione delle rate di rimborso con la ripartizione delle quote per capitale e per interessi”.

Tali statuizioni ci consentono di ricavare il seguente, ulteriore principio: un contratto di mutuo bancario, per rispondere al requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto, di cui agli artt. 1346 e 1418, comma 2 c.c., deve garantire al mutuatario una agevole e pronta comprensione dell’impegno finanziario che deriva dalla sottoscrizione del contratto stesso.

A tal fine, non occorre che il contratto espliciti il regime di capitalizzazione utilizzato dall’intermediario, né che il contratto qualifichi “alla francese” il relativo piano di ammortamento, ma occorre che esso indichi l’importo erogato, la durata del prestito, la periodicità del rimborso, il tasso di interesse e che al medesimo contratto sia allegato un piano di ammortamento, con indicazione del numero e della composizione delle rate di rimborso e con ripartizione delle quote di capitale e delle quote di interessi.

In difetto di tali elementi contenutistici, così come descritti dalla Corte, ben si potrebbe contestare la nullità parziale del contratto stesso per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto.

A ciò aggiungasi che il Collegio, nel ritenere necessaria, ai fini divisati, l’indicazione del “tasso di interesse”, omette di specificare se per tasso di interesse si debba intendere quello nominale (tradizionalmente espresso attraverso il c.d. TAN), ovvero il tasso di interesse effettivo, vale a dire il tasso che tiene conto del pagamento anticipato della quota interessi nel corso dell’anno, come accade proprio, in base alla stessa enucleazione del modello delineata dal Collegio, nell’ammortamento “alla francese”, dove gli interessi, pur essendo annuali, vengono anticipati ed inseriti, in percentuale, in ciascuna rata di rimborso.

Appare preferibile, anche in considerazione delle argomentazioni fatte proprie dalla Corte, tale seconda ipotesi, con la conseguenza che, ove il contratto non dovesse indicare il tasso effettivo, limitandosi alla previsione del solo tasso nominale, la questione della nullità per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto ben potrebbe portarsi all’attenzione dell’autorità giudiziaria competente.

Veniamo, ora, alla seconda questione sollevata dal Tribunale rimettente, che la Corte affronta al paragrafo 16 del proprio provvedimento.

Il Collegio afferma che il giudice a quo ha chiesto di verificare “se la maggior quota di interessi complessivamente dovuti in presenza di ammortamento «alla francese» rispetto a quello «all’italiana» costituisca un prezzo ulteriore e occulto che rende il tasso d’interesse effettivo maggiore di quello nominale (TAN) e del TAEG dichiarati nel contratto, di cui il cliente dovrebbe essere informato, con conseguente nullità parziale della relativa clausola contrattuale per violazione dell’art. 117, comma 4, T.u.b.”.

E’ fondamentale, anche in questo caso, delineare l’ambito di intervento della Corte quanto al profilo in discussione: come si vede, il Collegio non si esprime su quella che, almeno nel contenzioso bancario più recente, è la censura, tradizionalmente sollevata dai mutuatari in sede giudiziaria, vale a dire l’obbligatoria indicazione, nei contratti di mutuo, del regime di capitalizzazione quale “condizione” del finanziamento ed, in quanto tale, elemento tipico essenziale del contratto, ex art. 117, comma 4, T.u.b.

La Corte, infatti, affronta un interrogativo affatto diverso: il costo (maggiore o minore) per interessi, determinato dall’utilizzo di un determinato regime di calcolo, integra o meno quel “prezzo praticato” cui fa riferimento la suddetta norma, imponendone l’indicazione nel testo negoziale ?

Sembrerebbe,   pertanto,    che    la   questione   della   obbligatorietà   della menzione del regime finanziario, predicata non come “prezzo”, ma come “condizione” dell’erogazione del credito, esuli dalla disamina del Collegio. La Corte sviluppa, quindi, il proprio percorso argomentativo, affermando che:

  • la differenza tra ammortamento “alla francese” ed ammortamento “all’italiana” non risiede nella circostanza che, nel primo, il tasso di interesse effettivo sia maggiore di quello nominale, ma nella scelta, “concordata tra le parti”, di prevedere che il piano di rimborso si articoli nel pagamento di una rata costante e non decrescente;
  • l’art. 117 u.b. non richiede l’esplicitazione del regime di ammortamento nel contratto;
  • la Delibera CICR del 9 febbraio 2000 non è utile a supportare tale tesi, in quanto riguarda “indicazioni” che “non si verificano nel regime di ammortamento criticato”;
  • è conforme alla disposizioni della Banca d’Italia del 29 luglio 2009 un piano di rimborso, quale quello di causa, che contiene l’indicazione dell’importo erogato, della durata del prestito, del TAN, del TAEG, della periodicità (numero e composizione) delle rate di rimborso, con la loro ripartizione per quote di capitale e di interessi;
  • le menzionate disposizioni della Banca d’Italia del 29 luglio 2009 impongono agli istituti di credito di fornire l’informativa precontrattuale ai clienti, mediante riepilogo puntuale delle somme dovute alle varie scadenze, tramite un piano redatto in modo chiaro e comprensibile, che indichi la periodicità e composizione delle rate, “anziché mediante ricorso a formule lessicali o a espressioni matematiche che vorrebbero spiegare le modalità di calcolo degli interessi, ma la cui esigenza di precisione si scontra con un livello di tecnicismo che sfugge alla comprensione dei più”;
  • risulta, “in tal modo”, soddisfatta la possibilità, per il mutuatario, di conoscere, agevolmente, l’importo totale del rimborso, mediante una “semplice sommatoria”, conoscenza che egli “difficilmente potrebbe avere sviluppando autonomamente una complessa formula matematica attraverso la quale il piano di ammortamento è sviluppato”, una volta scelta la rata sostenibile e determinato il tasso di
  • se il contratto «trasparente» è quello che consente al consumatore di avere piena contezza delle condizioni della futura esecuzione del contratto sottoscritto, al momento della sua conclusione e di essere in possesso di tutti gli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno, “tale è quello di cui si discute, avendo l’istituto di credito assolto agli obblighi informativi a suo carico, tramite il piano di ammortamento allegato al contratto”.

Sulla base di tali argomentazioni, il Collegio ritiene di dover dare risposta negativa anche al secondo profilo in cui è articolato il rinvio pregiudiziale ed esclude che la mancata indicazione, nel contratto di mutuo bancario, a tasso fisso, della modalità di ammortamento «alla francese» e del regime di capitalizzazione «composto» degli interessi sia causa di nullità del contratto stesso per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti.

Le argomentazioni poste a fondamento della decisione assunta, sul punto, dal Collegio, impongono alcuni rilievi.

In primo luogo, si osserva che la differenza tra i richiamati tipi di ammortamento risiede non tanto nella struttura della rata, quanto, piuttosto, proprio nel criterio di calcolo degli interessi e, soprattutto, nelle leggi matematiche che lo governano.

In matematica finanziaria, la caratteristica che contraddistingue il regime composto non è, infatti, la presenza di una rata costante, con andamento decrescente della quota interessi, ma, soprattutto, la proprietà che caratterizza il regime stesso, secondo cui gli interessi maturati alla fine di ogni periodo (anno, bimestre, trimestre, ecc., a seconda del periodare della capitalizzazione) si addizionano al capitale e diventano fruttiferi, assieme al capitale, per i periodi successivi.

Ne consegue che quando lo stesso Collegio evidenzia la necessità dell’accordo tra le parti sul piano di rimborso, ciò che rileva non può essere l’intesa sulla mera predisposizione di una rata costante e non decrescente, quanto, invece, l’intesa sulla capitalizzazione degli interessi, quale caratteristica tipica e fondante del regime composto.

Il ragionamento della Corte, pertanto, appare condivisibile soltanto ove ci si trovi di fronte ad un piano di rimborso in cui non viene utilizzato alcun meccanismo di capitalizzazione per la determinazione delle rate.

In caso contrario, risulta ineludibile che le parti dovranno accordarsi (anche) su tale elemento negoziale, che dovrà, pertanto, essere chiaramente esplicitato in contratto.

Conseguenza ulteriore della caratteristica “ontologica” del regime composto è che, diversamente da quanto affermato dal Collegio, il riferimento alla Delibera CICR del 9 febbraio 2000 risulta non solo appropriato ma, addirittura, dirimente ai fini di una legittima soluzione della questione.

Invero, posto che la capitalizzazione degli interessi è proprio ciò che, per definizione, contraddistingue il regime composto, non può dubitarsi dall’applicabilità proprio dell’art. 6 della suddetta Delibera che, come noto, impone, per tutti i contratti di erogazione del credito, non soltanto l’indicazione, nel testo negoziale, “del valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto della capitalizzazione”, ma anche che la clausola con cui si concorda e pattuisce la capitalizzazione medesima sia “specificamente” approvata dal cliente.

La circostanza che un piano di ammortamento, per quanto descrittivamente “completo”, nel senso predicato dalla Corte (contenente, cioè, l’indicazione del numero e della composizione delle rate di rimborso, con ripartizione delle quote per capitale e per interessi), possa consentire al cliente di avere “piena contezza delle condizioni della futura esecuzione del contratto sottoscritto”, non sembra, almeno ad avviso di chi scrive, idonea ad escludere l’applicazione tanto dell’art. 117, comma 4 T.u.b., ove si contesti, specificamente, la mancata esistenza di una “condizione” del finanziamento, quanto dell’art. 6 della Delibera CICR del 9 febbraio 2000, ove si alleghi e dimostri che quello stesso piano di ammortamento, in quanto rispondente alle leggi ed ai principi del cosiddetto regime “composto”, contempla la “capitalizzazione degli interessi” soggetta, in quanto tale, alla suddetta disposizione normativa.

A conclusione del presente lavoro, nell’auspicio di far cosa utile a chi avrà la pazienza di leggerci, riportiamo, di seguito, i principi giuridici che, a nostro avviso, si possono ricavare dalla pronuncia in commento:

  • nei contratti di mutuo a tasso fisso, recanti l’indicazione dell’importo mutuato, della durata del prestito, delle numero delle rate costanti di rimborso, del TAN (tasso annuo nominale), del TAE (tasso annuo effettivo), con piano di ammortamento allegato al contratto, contenente la specificazione della quota per capitale e della quota per interessi di cui si compone ciascuna rata, non integra nullità parziale del contratto, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto ex 1346 e 1418, comma 2 c.c., l’omessa indicazione, nel medesimo contratto, del regime composto degli interessi e della modalità di ammortamento c.d. alla francese;
  • nei contratti di mutuo a tasso fisso, recanti l’indicazione dell’importo mutuato, della durata del prestito, delle numero delle rate costanti di rimborso, del TAN (tasso annuo nominale), del TAE (tasso annuo effettivo), con piano di ammortamento allegato al contratto, contenente la specificazione della quota per capitale e della quota per interessi di cui si compone ciascuna rata, non integra violazione dell’art. 117, comma 4 T.u.b. l’omessa indicazione, nel contratto, del regime composto degli interessi e della modalità di ammortamento c.d. alla francese, non costituendo la maggior quota di interessi complessivamente dovuti, in presenza di ammortamento «alla francese» rispetto a quello «all’italiana», un prezzo ulteriore ed occulto da indicare nel contratto stesso;
  • un contratto di mutuo bancario, a tasso fisso, per rispondere al requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto, di cui agli artt. 1346 e 1418, comma 2 c.c., deve garantire al mutuatario una agevole e pronta comprensione dell’impegno finanziario che deriva dalla sottoscrizione del contratto stesso. A tal fine, non occorre che il contratto espliciti il regime di capitalizzazione utilizzato dall’intermediario, né che il contratto qualifichi “alla francese” il relativo piano di ammortamento, ma occorre che esso indichi l’importo erogato, la durata del prestito, la periodicità del rimborso, il tasso di interesse, nominale ed effettivo e che al medesimo contratto sia allegato un piano di ammortamento, con indicazione del numero e della composizione delle rate di rimborso e con ripartizione delle quote di capitale e delle quote di interessi;
  • la produzione di interessi su interessi, idonea a determinare un tasso debitore effettivo maggiore rispetto a quello nominale, non ricavabile dalla mera indicazione del TAEG, costituisce una “patologia” da affrontare “caso per caso”, sulla base delle domande e delle eccezioni delle parti, attraverso apposita indagine “volta a verificare se, nella singola fattispecie, siano pretesi o siano stati pagati interessi superiori a quelli pattuiti”, trattandosi di “questione di fatto incensurabile in sede di legittimità”;
  • è legittimo un piano di ammortamento caratterizzato dalla esigibilità degli interessi anticipatamente all’esigibilità, in tutto o in parte, del capitale, a condizione che tale esigibilità sia frutto dell’accordo tra le parti. Per tutto ciò che esula dall’ambito valutativo e decisionale della pronuncia in commento, si dovrà attendere, verosimilmente, un nuovo intervento del Supremo Collegio, con la conseguenza che le contestazioni in punto di indeterminatezza ed indeterminabilità del contratto e di violazione della trasparenza, così come declinata dalle stesse Sezioni Unite, sub specie di violazione dell’art. 117, comma 4 u.b., ben potranno essere ancora portate all’attenzione della magistratura, con riferimento a:
  • mutui e finanziamenti a tasso variabile;
  • mutui e finanziamenti a tasso fisso, con allegati piani di ammortamento alla francese “non standardizzati e tradizionali”;
  • mutui e finanziamenti a tasso fisso, privi di piano di ammortamento allegato e sottoscritto dal cliente;
  • mutui e finanziamenti a tasso fisso, il cui piano di ammortamento, ancorchè allegato e sottoscritto dal cliente, non rechi l’indicazione del numero e/o della composizione delle rate di rimborso e/o la ripartizione delle quote di capitale e delle quote di interessi;
  • mutui a tasso fisso ed a tasso variabile, in relazione ai quali si denunzi la produzione di interessi su interessi, idonea a determinare un tasso debitore effettivo maggiore rispetto a quello nominale, con dovere del giudice di affrontare la dedotta patologia “caso per caso”, sulla base delle domande e delle eccezioni delle parti, attraverso apposita indagine “volta a verificare se nella singola fattispecie siano pretesi o siano stati pagati interessi superiori a quelli pattuiti”, trattandosi di “questione di fatto incensurabile in sede di legittimità”;
  • mutui a tasso fisso e variabile, in relazione ai quali si contesti la violazione dell’art. 117, comma 4 u.b. per mancata indicazione, nel contratto, del regime di capitalizzazione composto o dell’ammortamento alla francese, intesa quale “condizione” del finanziamento stesso e non quale “prezzo ulteriore e occulto” derivante dalla maggior quota di interessi dovuta dal mutuatario rispetto a quella dovuta in base ad altre tipologie di ammortamento.

In definitiva, la pronuncia in commento appare idonea a risolvere soltanto una minima parte delle questioni quotidianamente dibattute nelle aule di giustizia in relazione ai mutui bancari.

Con il soccorso dell’illustre drammaturgo, si potrebbe, anche, affermare: “Much Ado About Nothing”.

 

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