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I fondi di private capital forniscono supporto alle imprese non quotate. Tali operatori selezionano le target attraverso rigorosi criteri di mercato, in modo da individuare iniziative ad alto potenziale e prospettive di sviluppo. Essi apportano non solo capitali ma anche consulenza e competenze strategiche per contribuire alla realizzazione dei progetti aziendali, in un orizzonte temporale di medio-lungo termine.

Lo sottolinea l’Aifi in una recente audizione parlamentare in cui sottolinea come negli ultimi anni sta progressivamente emergendo il ruolo del private capital come supporto allo sviluppo dell’economia reale italiana e delle filiere del Made in Italy anche in funzione di accompagnamento verso pratiche di buona governance, miglioramenti nella cultura aziendale e manageriale, e l’attenzione verso temi ambientali, di parità di genere, di welfare aziendale e di valorizzazione delle risorse umane.

Risulta quindi essenziale rafforzare il circolo virtuoso che indirizza il risparmio privato, convogliato da fondi pensione e casse di previdenza, a sostegno della crescita delle imprese del nostro Paese attraverso il contributo di fondi di private capital. Questa crescita, grazie all’incremento dei livelli occupazionali e della capacità contributiva dei lavoratori, può continuare ad alimentare le risorse raccolte dagli investitori istituzionali. Al momento il contributo di fondi pensione e casse di previdenza risulta limitato non solo rispetto alle risorse allocate presso fondi alternativi italiani ma anche con riferimento al sostegno al sistema imprenditoriale italiano nel complesso, andando in tal modo a penalizzare lo stesso bacino di approvvigionamento degli enti previdenziali, cioè i futuri lavoratori e potenziali sottoscrittori dei piani. Come infatti rileva la Relazione Annuale COVIP 2023, al netto degli investimenti immobiliari e dei titoli di Stato, e risorse finanziarie destinate alle imprese italiane possono essere calcolate in 13,2 miliardi di euro (13,6 nel 2021), così suddivisi: 7,9 (7,6 nel 2021) investiti dalle casse di previdenza e 5,3 (6 nel 2021) impiegati dai fondi pensione […]. Se rapportato al totale delle passività finanziarie delle imprese italiane, il contributo fornito dal risparmio previdenziale resta modesto, circa lo 0,4 per cento.

La stessa Autorità afferma che si tratta di un dato particolarmente basso, anche in relazione a quanto avviene in altri contesti nazionali. Tra le ragioni alla base di tale limitato contributo la COVIP segnala la presenza di benchmark di mercato internazionali in cui l’Italia ha un peso poco rilevante (dato lo scarso numero di società quotate), ma anche un mercato del capitale di rischio e di debito privati che a livello nazionale risultano ancora poco sviluppati.

Quali potrebbero essere gli stimoli?  Per  le casse di previdenza, per le quali è in corso da diversi anni il dibattito sul regolamento prevedere limiti flessibili per l’investimento in strumenti alternativi. Questo nell’auspicio che un sistema regolamentare definito possa costituire un elemento di chiarezza e incrementare gli investimenti in private capital.

Allargare l’incentivo relativo ai capital gain anche ai fondi di private debt, estendendo la possibilità di utilizzare il beneficio anche in caso di investimenti effettuati in OICR che investono in obbligazioni o titoli di debito di società non quotate, introdurre modifiche in relazione all’incentivo fiscale di cui al DL n. 179/2012 (convertito dalla L. n. 221/2012) , detrazione/deduzione del 30% dell’investimento per soggetti IRPEF/IRES che investono direttamente o indirettamente in startup /o PMI innovative. In particolare, le casse di previdenza, quali soggetti IRES, potrebbero beneficiare della deduzione. Tuttavia, alcune difficoltà applicative rendono l’incentivo di difficile utilizzo.

Si suggerisce ancora di agevolare fiscalmente l’investimento da parte degli investitori istituzionali. Il sistema previdenziale dovrebbe poter beneficiare di un credito d’imposta per gli investimenti in fondi che investano nelle PMI.

Va poi modificata la tassazione dei fondi pensione prevedendo il passaggio dal sistema di tassazione attuale basato sul modello ETT (Esenzione in fase di versamento, Tassazione in fase di accumulo, Tassazione sulle prestazioni) a un modello “europeo” fondato sullo schema EET (Esenzione in fase di versamento, Esenzione in fase di accumulo, Tassazione sulle prestazioni) e affrontato il problema della doppia tassazione per le Casse che riguarda la normale tassazione dei trattamenti pensionistici e la tassazione applicata ai rendimenti degli investimenti patrimoniali. Sarebbe utile valutare di affrancare le Casse dal modello ETT o almeno ridurre la tassazione applicata ai rendimenti.

Va poi valutata la promozione di forme di partnership pubblico-privata. In tale ambito, come hanno dimostrato le esperienze internazionali e quelle realizzate negli ultimi anni in Italia, lo strumento più efficiente è il fondo di fondi, indirizzando le strategie di raccolta a monte verso un bacino di potenziali investitori che non coincida con gli investitori italiani. La presenza di un soggetto istituzionale come anchor investor potrebbe rappresentare un elemento incentivante per gli investitori italiani nel destinare risorse nei fondi target a valle.

 

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