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VON DER LEYEN ORDINA: CENTRALIZZIAMO L’EUROPA! #finsubito richiedi mutuo fino 100%

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Valore & Valori / Mario Travaglini 170

Quando le politiche climatiche dell’Europa  minacciano la competitività industriale

 Le difficoltà della Germania sono note da tempo ma sono esplose solo in questi giorni  per il solito giochino delle tre carte che i media praticano quando vogliono coprire notizie scomode. Il suo settore di punta, quello automobilistico, essendo in difficoltà, trascina l’intero Paese verso una stagnazione economica prolungata, tanto che, per la prima volta nei suoi 87 anni di storia, la Volkswagen, il più grande datore di lavoro del Paese, sta valutando la possibilità di chiudere tutte le fabbriche interne. All’inizio dell’anno la stessa casa automobilistica si era impegnata a investire 2,7 miliardi di euro per aumentare la propria capacità produttiva in Cina, e questo l’avevo già raccontato in uno dei miei precedenti articoli. Allo stesso tempo, l’azienda statale cinese Changan si è stabilita in Germania per iniziare a vendere lì i suoi veicoli elettrici. I progetti faraonici iniziali si sono rivelati presto sovradimensionati e la domanda si è fatta più debole del previsto, lasciando molti dei suoi veicoli elettrici (EV)  invenduti. Questi fatti appena sopra sintetizzati spiegano come l’Europa svolga un ruolo significativo nelle difficoltà di Volkswagen e dimostrano ancora una volta quanto siano state dannose per l’Europa le politiche climatiche e ambientali dell’UE. L’ultimo dato che serve a misurare il grado di apprezzamento degli elettori è stato espresso dalle elezioni tenutesi in Germania la scorsa settimana dove nella regione del Brandeburgo il partito dei Verdi, dato in forte ascesa, non è riuscito neppure a superare la soglia di sbarramento  fermandosi al 4,1%, il che costituisce il peggior risultato di sempre.

La decisione dell’Unione di imporre un divieto dal 2035 su un prodotto per il quale le imprese europee come Volkswagen sono competitive  ha effettivamente funzionato come un sussidio per i veicoli elettrici per i quali, invece, le aziende cinesi e americane sono più concorrenziali perché più avanti sia dal punto di vista tecnologico che produttivo. Non si tratta di essere più o meno protezionisti perché tutti concordano sul fatto che la nostra Europa non dovrebbe svantaggiare la propria industria. Eppure questo è ciò che sta accadendo. Il piano, poi, dell’UE di aumentare le tariffe sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi aggiunge al danno la beffa e conferma ché i problemi economici dell’Europa sono in gran parte auto inflitti. Infatti, domandiamoci: i dazi doganali possono correggere le politiche farlocche che essa attua?  Per avviare una riflessione sul tema mi appoggio all’ex presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan il quale nel descrivere la visione dell’economia del suo governo ebbe a dire : “Se si muove, tassatela. Se continua a muoversi, regolatela. E se si ferma, sovvenzionatela ». I produttori di automobili europei hanno dovuto sopportare anni di tasse elevate, in particolare sulla manodopera, ma alla fine sono le normative europee, come il divieto dei motori a combustione nell’UE, che oggi li danneggiano gravemente, anche se, a dire il vero, sono previste sovvenzioni. A gennaio, infatti,  l’UE ha annunciato 4 miliardi di euro di aiuti per nuove fabbriche che producono batterie per auto elettriche, pompe di calore e pannelli solari, sperando di accelerare la produzione e l’adozione di tecnologie verdi, combattendo al contempo le importazioni cinesi a basso costo. A rigor di logica, quindi, dovrebbe essere un problema dei cinesi se pagano per esportare prodotti più economici in Occidente. Se non ché i dazi da un lato rendono le importazioni più costose per i consumatori finali europei e dall’altro mettono in atto ritorsioni che Pechino ha dichiarato di voler applicare su una una vasta gamma di prodotti alimentari e non. Tuttavia, in primo luogo, prima di imporre tariffe sulle importazioni cinesi, l’UE dovrebbe smettere di erodere la competitività dell’Europa con le sue costose norme sul “green deal” e pensare,invece, a conservare la competitività dell’industria europea, in particolare dell’industria chimica che già dal giugno scorso, per il tramite  d Jim Ratcliffe, fondatore del colosso chimico Ineos, fece sapere che l’industria petrolchimica europea era “finita” perché non era in grado di competere con gli Stati Uniti a causa degli alti costi dell’energia con conseguenze gravissime sul versante degli investimenti. Ratcliffe purtroppo è rimasto fino ad oggi inascoltato dai governanti europei i quali, dopo la nomina della nuova Commissione, si spera possano prestare più attenzione alle rivendicazione ancora sul tappeto, ossia modificare i dazi climatici imposti su alcune importazioni previsti dal “Carbon Border Adjustment Mechanism” (CBAM). Per evitare una decrescita felice forse è opportuno mettere in atto un approccio differente da quello attuale, quello, tanto per intenderci, sostenuto dai membri della Climate & Freedom International Coalition, un gruppo di accademici e politici che hanno redatto un trattato internazionale, basato sullo sfruttamento dei mercati liberi per raggiungere soluzioni a zero emissioni di carbonio. Il metodo proposto è abbastanza semplice  e consiste nel fatto che i paesi firmatari beneficerebbero di vantaggi commerciali qualora  attuassero politiche di libero mercato rispettose del clima. Essi dovrebbero accordarsi  permettendo agli imprenditori ed ai finanziatori di investire in beni, fabbriche e attrezzature, essenziali per la crescita a lungo termine delle aziende  attraverso l’impiego di obbligazioni CoVictory (1), prestiti e fondi di risparmio esentasse.

 L’obiettivo è ridurre gli oneri finanziari almeno del 30% e promuovere così gli investimenti in tecnologie più pulite e all’avanguardia. Altre  raccomandazioni includono ;

  1. a) tagli fiscali mirati nei quattro settori che più contribuiscono alla emissione (80%) di gas serra – trasporti, energia ed elettricità, industria e immobiliare ;

  2. b) tagli fiscali volti a spezzare i monopoli esistenti, eliminando le imposte sugli utili per tutti coloro che investono in aziende che intendono combattere i monopoli e liberalizzare il mercato dell’energia; c)esenzioni fiscali per un periodo di 15 anni su tutti i profitti aziendali al fine di premiare quelle che apportano innovazioni dirompenti e significative, capaci di ridurre sensibilmente le emissioni di gas serra.                       Dobbiamo essere realisti e renderci conto che se vogliamo veramente centrare l’obiettivo della decarbonizzazione ed aiutare a migliorare l’ambiente in cui viviamo occorre porre gli attori principali, ossia le aziende che operano nei settori strategici, di avere sia la convenienza ad investire a lungo termine e sia ad avere ritorni profittevoli anche nel breve termine. Sull’argomento tornerò la prossima settimana per commentare gli accordi in chiaro e quelli nascosti che hanno permesso alla signora Von der Leyen di dar vita alla commissione che guiderà l’Europa per i prossimi cinque anni.

(1) Le obbligazioni CoVictory  sono titoli senza imposte, utilizzate dopo i periodi bellici per accelerare la ricostruzione. Oggi è stata avanzata l’ipotesi di utilizzarle nell’emergenza climatica. Chi ha confidenza con la lingua inglese può approfondire l’argomento  usando il seguente link :

https://myemail.constantcontact.com/This-Week-in-Energy–CoVictory-Bonds-and-Loans-for-Clean-Energy.html?soid=1103630271354&aid=V3FOg3zRjMo

 

Questa è la frase iniziale :

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We’ve had a robust discussion this past week on Rod Richardson’s “CoVictory” tax-exempt bonds and loans, and other free market clean energy policies that …

 

 





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