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G. Ponteprino | L’art. 316 ter al vaglio delle Sezioni unite: configurabilità e momento consumativo del reato nelle ipotesi di indebito conseguimento di risparmio di spesa | Sistema Penale #finsubito prestito immediato

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Cass., Sez. VI, ord. 7 maggio 2024 (dep. 11 luglio 2024), n. 27639, Pres. Fidelbo, est. Gallucci

1. Con l’ordinanza in allegato, la Sesta Sezione della S.C., ha rimesso alle Sezioni unite due questioni controverse riguardanti il delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316 ter c.p. Le S.U. vengono, in primo luogo, interrogate in merito alla possibilità stessa di ammettere l’integrazione del reato de quo laddove l’indebita percezione consista nel conseguimento di un risparmio di spesa, ottenuto mediante l’utilizzo o la presentazione di documenti falsi. Il secondo quesito concerne l’individuazione del momento consumativo dell’art. 316 ter al cospetto di erogazioni dilazionate nel tempo: è, infatti, controverso se si tratti di fattispecie di natura istantanea – e se quindi, in caso di molteplici erogazioni, debba affermarsi il concorso materiale tra più reati eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione – o se sia invece ravvisabile un unico delitto a consumazione prolungata, che si protrae fino alla ricezione dell’ultimo contributo.

 

2. Procediamo con ordine. Nel caso affrontato dall’ordinanza in commento, si tratta di accertare la responsabilità amministrativa da reato di un ente ex D.lgs. 231/2001. In ipotesi accusatoria, una società aveva artificiosamente messo in stato di mobilità 210 lavoratori, per poi reimpiegarli in un Consorzio, destinato a proseguire – pur con nuova veste giuridica – l’attività precedentemente svolta dalla prima compagine. Questo consorzio aveva indebitamente beneficiato delle agevolazioni che, all’epoca dei fatti (risalenti al periodo 2002-2008), venivano riconosciute per l’assunzione di lavoratori in mobilità. L’impresa aveva compilato i moduli di denuncia all’INPS relativi alle retribuzioni mensili corrisposte ai dipendenti, dei contributi dovuti e dell’eventuale conguaglio delle prestazioni anticipate, e delle agevolazioni e degli sgravi – il c.d. modello DM10 – omettendo di indicare la sussistenza delle condizioni ostative previste dall’art. 8, comma 4 bis l. 23 luglio 1991, n. 223, in base a cui l’ottenimento dei benefici di cui al menzionato art. 8 è precluso “in riferimento a quei lavoratori che siano stati collocati in mobilità, nei sei mesi precedenti, da parte di impresa dello stesso o di diverso settore di attività che […] presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo”[1]. Ne conseguiva uno sgravio di oneri contributivi per un importo nel complesso superiore ai tre milioni di euro. Orbene, il giudice di prime cure aveva individuato il reato presupposto della responsabilità dell’ente ex art. 231 nella truffa aggravata ai danni dello Stato. La Corte di appello di Lecce riqualificava, però, i fatti nel delitto di indebita percezione ai danni dello Stato di cui all’art. 316 ter c.p., che – al pari dell’art. 640 bis c.p. – è incluso nel catalogo di reati previsti dall’art. 24 D.lgs. 231, in relazione ai quali si applica la sanzione pecuniaria fino a 500 quote.

 

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3. In via preliminare, l’ordinanza in commento mostra di condividere la posizione assunta dal giudice del gravame con riguardo al mancato riconoscimento del reato di truffa aggravata.

Quella dei rapporti tra art. 640 bis e art. 316 ter è – come noto – questione dibattuta, su cui sono state chiamate a pronunciarsi sia la Consulta sia le Sezioni unite, con due ravvicinate sentenze del 2007 e del 2010. Introdotto per mano della l. 29 settembre 2000, n. 300[2], il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato era destinato – nelle intenzioni del legislatore – a completare il microsistema repressivo delle frodi nelle sovvenzioni pubbliche, incriminando attività prodromiche alla concessione dell’erogazione non rientranti nel paradigma punitivo della truffa[3]. La previsione, nell’art. 316 ter, di una clausola di sussidiarietà espressa a favore dell’art. 640 bis riservava a tale disposizione una portata residuale, anche in considerazione del fatto che, nella prassi giudiziaria, le nozioni di artifici e di raggiri di cui all’art. 640 c.p. erano e sono tutt’oggi interpretate in maniera decisamente ampia[4]. Così, una parte della giurisprudenza, allo scopo di conferire un qualche margine di operatività al nuovo delitto, aveva ritenuto che l’art. 316 ter, in quanto lex specialis rispetto alla truffa, dovesse applicarsi ogniqualvolta gli artifici e i raggiri venissero perpetrati nelle peculiari modalità descritte dalla norma (ossia presentando documenti o dichiarazioni false)[5]. Una conclusione del genere era, tuttavia, foriera di un’irragionevole disparità a livello sanzionatorio, in quanto condotte in precedenza rientranti nell’alveo del più grave delitto di cui all’art. 640 bis sarebbero state punite meno severamente, senza che tale mutamento fosse sorretto da alcuna giustificazione razionale[6]. Le incertezze vennero fugate dalla Consulta, la quale – nel dichiarare la manifesta inammissibilità di una q.l.c. sollevata sul punto dal Tribunale di Milano – precisò che la clausola di riserva contenuta nell’art. 316 ter rivela non già la sussistenza di un rapporto di specialità, bensì di sussidiarietà con l’art. 640 bis[7]. Ragione per cui tale disposizione non può che assicurare “una tutela aggiuntiva e ‘complementare’ rispetto a quella già offerta dall’art. 640-bis”, a fronte di condotte fraudolente di minore intensità, tipologicamente distinte dagli artifici e dai raggiri e che non traggano in errore il soggetto leso[8].

Tanto premesso, restava da chiarire se la mera presentazione di documentazione falsa andasse riportata nel perimetro applicativo della truffa, in cui – ad avviso della costante giurisprudenza – rientrava finanche il semplice mendacio[9]. Il formarsi di due antitetici indirizzi, l’uno volto a ridurre drasticamente l’ambito dell’art. 640 bis, l’altro più incline a relegare l’art. 316 ter ad un ruolo di estrema sussidiarietà, ha reso necessario il duplice intervento delle Sezioni unite di cui s’è detto pocanzi.

Orbene, le sentenze Carchivi[10] e Pizzuto[11] hanno avallato l’interpretazione tradizionale e più ampia del concetto di “artifici e raggiri”, limitando il raggio operativo dell’art. 316 ter a situazioni apparentemente marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore dell’atto di disposizione patrimoniale. Il discrimine tra le due ipotesi delittuose non risiede, pertanto, nel tipo di attività illecita posta in essere dall’agente – in entrambi i casi connotata da una (più o meno marcata) componente ingannatoria[12] – ma nel risultato che ne scaturisce. La truffa (di cui l’art. 640 bis c.p. è circostanza aggravante) è, infatti, un reato di evento e la sua integrazione non può prescindere dal riscontro del nesso causale tra la condotta decettiva dell’imputato, l’induzione in errore della vittima e il conseguente ottenimento dell’ingiusto profitto con altrui danno[13]. Anche la semplice presentazione di documentazione falsa da parte del richiedente – che costituisce la fisiologica modalità di realizzazione della fattispecie sussidiaria[14] potrebbe, quindi, “assumere natura fraudolenta ed integrare l’elemento oggettivo della truffa” nel caso in cui l’ente erogatore risultasse effettivamente fuorviato[15]. Di converso, qualora l’erogazione dipenda, in prima battuta, dalla presentazione della mera richiesta del privato o da una sua autocertificazione, senza sia necessaria alcuna ulteriore verifica da parte della P.A., dovrebbe affermarsi la sussistenza dell’art. 316 ter c.p.[16]. Le conclusioni raggiunte dalle Sezioni unite non sono andate esenti da critiche, in quanto confermano la tendenza, ampiamente diffusa nella prassi, a svalutare i concetti di artifici o raggiri. In questo modo, l’art. 640 c.p. va incontro a una mutazione genetica, che si traduce nello stemperamento del disvalore d’azione “a favore di un disvalore d’evento polarizzato sull’idoneità decettiva”, con tutte le difficoltà che ne conseguono a livello probatorio[17].

Ora, malgrado l’indubbia vis attractiva esercitata dall’art. 640 bis, la concreta declinazione dello schema argomentativo preconizzato dalle Sezioni unite ha consentito di ritagliare un, seppur minimo, spazio di operatività all’art. 316 ter[18]. Quest’ultimo delitto si configura ogniqualvolta all’esito di una disamina di “tutte le circostanze che caratterizzano la vicenda in concreto” e, in particolare, delle specifiche modalità di rilascio del finanziamento, non emerga quel quid pluris necessario ai fini dell’integrazione della truffa aggravata ex art. 640 bis, consistente – appunto – nell’induzione in errore dell’ente erogante[19]. A una tale conclusione è pervenuta l’ordinanza in commento, la quale – allineandosi a quanto affermato in grado di appello – ha sostenuto che, nel caso di specie, il risparmio di spesa era stato ottenuto mediante una semplice omissione di informazioni dovute, la cui correttezza non è stata oggetto di alcuna verifica da parte dell’INPS.

 

4. Una volta escluso il reato di truffa aggravata, le criticità concernono l’inquadramento dei fatti in imputazione nella sfera applicativa dell’art. 316 ter c.p. Come abbiamo visto, la mancata comunicazione delle condizioni ostative di accesso al beneficio ha portato ad una riduzione dei contributi dovuti all’INPS. Orbene, le Sezioni unite del 2010 – nel risolvere un contrasto interpretativo sul punto – hanno ammesso l’integrazione del reato in esame anche quando dalla dichiarazione mendace derivi un risparmio di spesa: in quel caso si trattava di un falso certificato di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria, la cui presentazione dava automatico diritto all’esonero del pagamento del ticket[20].

Questo orientamento ha avuto largo seguito nella giurisprudenza di legittimità, che è prevalentemente incline a qualificare come “erogazioni” rilevanti ai sensi dell’art. 316 ter c.p. anche quelle percezioni indebite consistenti in un risparmio di spesa rispetto al quantum dovuto all’ente pubblico, poiché “anche in tal caso il richiedente ottiene un vantaggio che viene posto a carico della comunità”[21]. A tal proposito, è peraltro ampia la casistica relativa alla falsa esposizione, da parte del datore di lavoro, di corresponsioni ai propri salariati di indennità in ragione del loro status soggettivo (ad esempio, condizione di malattia, di maternità, assegni familiari) o di una situazione economica di crisi (ad esempio, cassa integrazione), così da ottenere il conguaglio degli importi fittiziamente indicati con quelli da lui dovuti a titolo di contributi previdenziali e assistenziali[22]. Ipotesi del genere vengono oggi inquadrate entro i margini operativi dell’art. 316 ter c.p.

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Ciò nondimeno, l’ordinanza in commento dubita che il mero risparmio di spesa possa ricondursi al perimetro di significato dell’art. 316 ter c.p., in cui si fa menzione di “contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici”[23]. La Corte ritiene che l’interpretazione maggioritaria si ponga in contrasto con il principio di determinatezza e di tassatività, violando il divieto di analogia in malam partem vigente in materia penale. L’inserimento della formula di chiusura “ad altre erogazioni dello stesso tipo” non consentirebbe di dilatare il campo applicativo della fattispecie fino a ricomprendervi casi in cui non vi sia alcun esborso da parte dello Stato, ma solo il versamento di una somma inferiore a quella dovuta. Siamo, infatti, al cospetto di una “clausola ad analogia espressa”: tali previsioni risultano costituzionalmente legittime nella misura in cui la norma o il sistema di norme ove sono inserite consentano di definire la loro latitudine applicativa in maniera sufficientemente precisa ed omogenea[24]. Emblematica è l’ipotesi del disastro innominato ex art. 434 c.p., in relazione al quale la Consulta ha negato una lesione del principio di determinatezza, in virtù del fatto che il concetto di “altro disastro” designa “un accadimento sì diverso, ma comunque omogeneo, sul piano delle caratteristiche strutturali, rispetto ai disastri contemplati negli altri articoli compresi nel capo relativo ai delitti di comune pericolo mediante violenza”[25].

Nel nostro caso, l’elenco contenuto nell’art. 316 ter – che, ricordiamo, menziona contributi, sovvenzioni, finanziamenti e mutui agevolati – e il significato proprio del termine “erogazione” – che evoca una fornitura, un’elargizione, una distribuzione – osterebbero all’inclusione nel raggio applicativo della fattispecie delle esenzioni o dei risparmi di spesa ottenuti mediante la presentazione di dichiarazione mendaci o l’omissione di informazioni dovute. Il nucleo di tipicità dell’art. 316 ter è infatti costituito dal concetto di erogazione e dalla corrispettiva percezione di denaro, attività che sembrano necessariamente implicare “un’effettiva riscossione, da parte del soggetto agente, delle somme erogate dall’ente, a seguito delle condotte decettive” delineate dalla norma[26].

Ad avviso della Corte, ulteriori conferme dell’imprescindibilità, ai fini dell’integrazione del reato de quo, di un esborso di risorse pubbliche sarebbero rinvenibili nelle modifiche apportate all’art. 316 ter c.p. dall’art. 28 del d.l. 27 gennaio 2022, n. 4[27], che ha aggiunto, nel primo comma, il riferimento alle sovvenzioni pubbliche e ha modificato la rubrica legis da “indebita percezione a danno dello Stato” a “indebita percezione di erogazioni pubbliche”[28]. Se ne ricaverebbe che, in assenza di un contegno attivo dell’ente, a fronte di un mancato o ridotto versamento di somme dovute, non è ipotizzabile la sussistenza dell’art. 316 ter c.p.

 

5. Alla luce di quanto premesso, la Sesta sezione – ritenendo di doversi discostare dai dicta della sentenza Pizzuto – ha sollecitato un nuovo intervento delle Sezioni unite ai sensi dell’art. 618, comma 1 bis c.p.p. affinché chiariscano se rientri o meno nell’ambito dell’art. 316 ter il risparmio di spesa conseguito mediante indebito conguaglio. Secondo la S.C., la rimeditazione del principio di diritto enunciato dalle S.U. nel 2010 sarebbe imposta dalla necessità di assicurare un più stringente rispetto del divieto di analogia in malam partem, che – come ribadito in una recente pronuncia della Consulta (sent. n. 98/2021) – “non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali”[29], rappresentando un limite invalicabile all’attività ermeneutica del giudicante[30]. È prima di tutto la lettera della legge – pur nella sua massima estensibilità interpretativa – “che deve fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte; sicché non è tollerabile che la sanzione possa colpirlo per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore”[31].

Orbene, nel caso in esame, la scelta di includere l’esenzione dal pagamento di una somma dovuta nelle indebite erogazioni ex art. 316 ter non troverebbe un valido appiglio normativo. Un insuperabile ostacolo all’opzione equiparatrice sarebbe, per l’appunto, rappresentato dal significato letterale e linguistico del termine erogazione, che consiste in un’attività positiva da parte dell’ente, implicante un rilascio di risorse pubbliche e la loro relativa percezione da parte dell’istante. Di converso, l’esenzione non comporta alcun diretto esborso di denaro, ma si risolve in un mancato versamento del quantum spettante alla P.A. e nel conseguente ottenimento di un indebito risparmio di spesa da parte del privato[32].

 

6. Nell’auspicio che le Sezioni unite provvedano a una rimeditazione dell’orientamento consolidato, l’ordinanza in esame non esclude che, a fronte di indebiti vantaggi consistenti nella riduzione dei contributi previdenziali, possano eventualmente assumere rilievo reati diversi dall’art. 316 ter c.p.

La Corte richiama, in primo luogo, il delitto di cui all’art. 10 quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che sanziona chiunque, nell’adempimento dei propri oneri contributivi, non versi le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti non spettanti o inesistenti, per un importo annuo superiore a Cinquantamila euro[33]. Stando all’impostazione richiamata dall’ordinanza de qua, tale figura delittuosa si porrebbe in rapporto di specialità rispetto all’art. 316 ter c.p.[34] e sarebbe applicabile anche in caso di omesso versamento di contributi di tipo assistenziale o previdenziale, i quali – al pari delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto – possono essere inseriti nel modulo F24. La ratio della disposizione in esame sarebbe, infatti, quella di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano in realtà nell’omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio mediante il ricorso al meccanismo della compensazione tributaria, indipendentemente dalla tipologia di imposta considerata[35]. Una simile lettura, maggioritaria in giurisprudenza, non convince del tutto, poiché si risolve in un’eccessiva dilatazione del perimetro di tipicità dell’art 10 quater che, in forza della sua collocazione sistematica all’interno di un testo normativo concernente i soli delitti in materia di imposte di redditi e di IVA, dovrebbe trovare applicazione solo con riguardo a tali tipologie di tributi, al cospetto, cioè, di indebite compensazioni di natura “propriamente fiscale”[36].

Ad avviso della Corte, potrebbe altresì ipotizzarsi l’integrazione del reato di cui all’art. 2, comma 1 bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 9, l’omesso versamento dei contributi previdenziali[37]: eventualità che si verificherebbe laddove il datore di lavoro, pur beneficiando del regime di contribuzione agevolato, avesse operato sulle buste paga dei lavoratori le trattenute calibrate sul regime ordinario, così “locupletando lo sconto derivante dall’agevolazione indebitamente” conseguita. Ricordiamo che, ai fini della sussistenza del delitto in parola, occorre che gli importi versati su base annua superino, nel loro complesso[38], la soglia di punibilità di 10.000 euro, dovendosi altrimenti riconoscersi l’illecito amministrativo previsto dal primo periodo del medesimo art. 2, comma 1 bis[39].

L’ultima proposta avanzata dalla S.C. è quella di ricondurre i casi di indebito ottenimento del conguaglio nell’alveo della c.d. frode previdenziale, di cui all’art. 37 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Tale delitto punisce il datore di lavoro, “che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero”. Trattasi di fattispecie residuale – come dimostra l’inserimento della clausola di sussidiarietà espressa “salvo che il fatto costituisca più grave reato” –, punita con una sanzione piuttosto modesta – non superiore nel massimo a due anni di reclusione – e soltanto al superamento di un importo mensile “non inferiore al maggiore importo fra euro 2582,28 mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti”[40]. Tuttavia, a nostro parere, l’inquadramento nell’alveo dell’art. 37 dei casi di risparmio di spesa derivanti dalla mancata comunicazione all’INPS di informazioni rilevanti per l’individuazione del corretto regime previdenziale non sembra assicurare una repressione adeguata di queste non infrequenti forme di evasione contributiva, se non altro perché il comma 3 del citato art. 7 dispone l’estinzione del reato in caso di regolarizzazione dell’accertata inadempienza[41].

 

7. Qualora invece ritenessero di dare continuità all’impostazione seguita nel 2011 dalla sentenza Pizzuto, le Sezioni unite sarebbero chiamate a risolvere il secondo quesito presentato dall’ordinanza in esame, riguardante l’identificazione del momento consumativo del reato di cui all’art. 316 ter c.p.

Se è pacifico che il reato si consuma nel tempo e nel luogo in cui il richiedente consegue il beneficio indebito e non al momento dell’assunzione dell’obbligo di erogare da parte del soggetto passivo[42], i problemi sorgono nei casi, tutt’altro che infrequenti, di erogazioni periodiche. In proposito, l’ordinanza in esame denuncia l’esistenza di un latente contrasto in seno alla giurisprudenza di merito e di legittimità[43], da cui derivano incertezze nell’individuazione del termine di decorso della prescrizione, nonché nella valutazione del superamento o meno della soglia di punibilità di 3999,96 euro, al di sotto della quale potrebbe unicamente ipotizzarsi l’integrazione dell’illecito amministrativo previsto da al cpv. dell’art. 316 ter c.p.

Stando a un primo indirizzo, laddove l’indebita percezione venisse conseguita in più ratei, saremmo al cospetto di un unico reato a consumazione prolungata o ad evento frazionato[44]: ne conseguirebbe che il superamento del valore soglia andrebbe valutato alla luce della sommatoria di tutti gli importi annui indebitamente compensati[45]. In altri termini, le plurime esposizioni di dati falsi da parte dell’agente costituirebbero “momenti esecutivi” di un reato unitario, caratterizzato da un approfondimento dell’offesa all’interesse protetto dall’art. 316 ter[46].

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Un secondo opposto orientamento ritiene che l’illecito vada scisso in una pluralità di percezioni indebite, in numero pari ai versamenti indebitamente ridotti in seguito alla compilazione dei singoli moduli DM10. Il superamento del valore soglia – che integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità – andrebbe verificato in relazione “al risultato economico derivante da ciascuna delle condotte decettive produttive di un’erogazione non dovuta” e, dunque, mese per mese[47].

 

***

 

8. In attesa di conoscere la decisione delle Sezioni unite, che si occuperanno delle questioni loro sottoposte nell’udienza pubblica del 28 novembre 2024, ci siano consentite alcune brevi osservazioni.

Quanto al primo quesito, a noi pare difficile pronosticare un revirement dell’orientamento radicatosi nel diritto vivente. È vero: la citata sentenza della Consulta n. 98 del 2021 ha riaffermato con forza il valore della c.d. legalità legalistica quale fondamentale e irrinunciabile presidio di garanzia[48]. Resterebbe dunque preclusa qualsiasi interpretazione che – sia pur teleologicamente orientata e conforme al nucleo offensivo espresso dal tipo delittuoso – confligge con il significato linguistico delle parole impiegate dal legislatore, producendo effetti sfavorevoli nei confronti del reo. E, tuttavia, come noto, la giurisprudenza – a fronte di disposizioni formulate in maniera lasca e generica o, al contrario, incapaci di ricomprendere nel loro alveo l’intero spettro di fattispecie concrete ritenute meritevoli di punizione – svolge un autentico ruolo di supplenza ermeneutica di un legislatore troppe volte inerte o disattento. Così, da un lato, le regole dell’interpretazione tassativizzante o tipizzante consentono di restringere il perimetro applicativo di norme altrimenti indeterminate e aventi una latitudine applicativa potenzialmente amplissima; dall’altro lato, una lettura a maglie larghe degli elementi costitutivi della fattispecie permette di colmare più o meno evidenti lacune di tutela, affermando la responsabilità penale anche al cospetto di vicende, che – a stretto rigore – non sembrano ascrivibili ai significati letterali delle espressioni utilizzate nel dato normativo.

È questo, ad esempio, il caso dell’art. 609 quinquies c.p., il cui primo comma incrimina il compimento di atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici: tale delitto è stato di recente oggetto di un’interpretazione ampissima, tesa ricondurvi la realizzazione di atti a distanza con il minore connesso in videochat[49]. Interpretazione che – per quanto volta a garantire la criminalizzazione di condotte capaci di compromettere lo sviluppo sessuale del minore, diversamente destinate a rimanere impunite – appare difficilmente conciliabile con la lettera della legge, risolvendosi in una surrettizia estensione analogica in malam partem[50].

Pertanto, anche alla luce delle attuali tendenze giurisprudenziali, appare francamente arduo ipotizzare che la scelta di includere il risparmio di spesa nell’alveo dell’art. 316 ter c.p. verrà giudicata lesiva del divieto di analogia in malam partem. L’opzione di parificare il mancato esborso di denaro e l’indebita percezione trova la sua ratio nell’interesse protetto dall’art. 316 ter c.p., che rappresenta un presidio di tutela nei confronti del patrimonio pubblico e nella corretta allocazione delle risorse e dei finanziamenti, mirando ad evitare la dispersione di denaro dello Stato o dell’Unione europea. In una prospettiva siffatta, l’esenzione di pagamento o il risparmio di spesa andrebbero qualificati come “erogazione pubblica” in quanto, anche qui, il richiedente ottiene un indebito beneficio economico che viene posto a carico dell’intera comunità[51].

 

9. Venendo alla seconda delle questioni poste al vaglio delle Sezioni unite, riteniamo che il contrasto denunciato dall’ordinanza in commento sia più apparente che reale: le oscillazioni si registrano, per lo più, nella giurisprudenza di merito, mentre – a ben guardare – la posizione della S.C. sembra piuttosto nitida.

È infatti pacifico che, in caso di finanziamento erogato in più ratei, il reato di cui all’art. 316 ter – al pari della truffa aggravata ex art. 640 bis – si consumi al momento dell’ultima ricezione, con tutto ciò che ne consegue con riguardo al decorso della prescrizione ed al computo della somma indebitamente percepita. Affinché possa dirsi integrato un illecito a consumazione prolungata, occorre però che il conseguimento dei singoli benefici scaturisca da un unico ed originario comportamento fraudolento[52]. I precedenti evocati dall’ordinanza in esame riguardano proprio ipotesi nelle quali le plurime erogazioni conseguono da un solo fatto genetico: in quei casi era stata la mancata comunicazione del decesso del titolare di una pensione, a consentire ai parenti del defunto di continuare a riscuotere i singoli ratei[53].

Al contrario, nel caso di specie, il datore di lavoro compila mensilmente il modulo DM10, e ogni volta omette di dichiarare la presenza di condizioni ostative all’ottenimento dell’agevolazione contributiva, così conseguendo il relativo risparmio di spesa. In un simile contesto, si realizzerebbero tante indebite percezioni quanti sono i mesi interessati dal conguaglio. Trattandosi di condotte di per sé distinte e indipendenti, il superamento del valore soglia andrebbe quindi valutato mese per mese, potendo eventualmente ipotizzarsi un concorso materiale di reati tra loro in continuazione. La giurisprudenza di legittimità sembra concordare con un’impostazione di questo tipo[54], che è stata peraltro ribadita in un Parere del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali dell’ottobre 2016, avente appunto ad oggetto la corretta applicazione dell’art. 316 ter in caso di esposizione di dati falsi su modelli DM 10[55].

L’assetto così delineato suscita, tuttavia, non poche perplessità. Appare scarsamente ragionevole che, al cospetto di reiterate e sistematiche omissioni di informazioni dovute o esposizione di dati falsi, l’integrazione o meno del reato di cui all’art. 316 ter c.p. venga a dipendere dall’importo del singolo risparmio di spesa. Il rischio è, da una parte, che si finiscano con il lasciar fuori dal penalmente rilevante vicende espressive di un disvalore assai più elevato rispetto a singole indebite percezioni di poco superiori al “valore-soglia”, dall’altra, che – al fine di garantire la criminalizzazione di tali perniciosi fenomeni – si dilati ulteriormente il perimetro applicativo della truffa aggravata, delitto che, come sappiamo, non prevede alcuna soglia di punibilità.

In attesa dell’intervento chiarificatore delle Sezioni unite, ci sembra di poter rilevare sin d’ora l’inadeguatezza dell’art. 316 ter c.p. a reprimere con efficacia le frodi dei datori di lavoro nei confronti dell’INPS[56], se non mediante il ricorso a inaccettabili forzature del dato normativo. L’auspicio è dunque quello di una complessiva rimeditazione del sistema penale-amministrativo di contrasto alle frodi pubbliche, che preveda, tra l’altro, l’inserimento di uno specifico presidio avverso i ricorrenti fenomeni di indebito conguaglio previdenziale[57]. Riteniamo infatti che, de jure condito, la pur imprescindibile opera interpretativa della giurisprudenza non sia da sola sufficiente a dare piena soddisfazione alle avvertite esigenze repressive, senza recar grave pregiudizio al principio di legalità e ai suoi molteplici corollari (su tutti, tassatività e prevedibilità delle decisioni giudiziarie)[58].

 

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[1] Cfr. l’art. 8, comma 4 bis della l. 223/1991: trattasi di previsione oggi abrogata dall’art. 2, comma 71 della l. 28 giugno 2012, n. 92.

[2] Con la l. 29 settembre 2000, n. 300, l’ordinamento interno si è adeguato agli obblighi assunti a livello sovranazionale, dando attuazione alla Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari, meglio nota come Convenzione PIF. In quest’ottica l’art. 4 ha introdotto nel dettato codicistico l’art. 316 ter. Per un’approfondita disamina del menzionato intervento legislativo si leggano, tra gli altri, M. Pelissero, Commento alla L. 29.9.2000, in LP, 2001, 1035 ss.; S. Manacorda, Corruzione internazionale e tutela penale degli interessi comunitari, in Dir. pen. proc., 2001, 410 ss.

[3] C. Benussi, I delitti contro la pubblica amministrazione, I, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, I, diretto da G. Marinucci – E. Dolcini, Padova, 2013, 436 ss.; P. Semeraro, Osservazioni in tema di indebita percezione di erogazione ai danni dello stato, in Cass. pen., 2001, 2563 ss.; sull’impropria collocazione dell’art. 316 ter nel novero dei delitti contro la P.A. anziché fra quelli contro il patrimonio, M. Riverditi, Reati contro la pubblica amministrazione, in F. Antolisei, Manuale di diritto penale. P.te spec., XVII ed. integrata ed aggiornata a cura di A. Rossi, Milano, 2022, 451.

[4] Rilevava la sostanziale inutilità dell’art. 316 ter c.p.: M. Romano, Abusi di finanziamenti comunitari ed indebita percezione di erogazioni a danno dello stato, in Dir. pen. proc., 2002, 271.

[5] Emblematica Cass., II, 6 marzo 2003, 14817, in Cass. pen., 2005,1268 ss.: sebbene la clausola di riserva sembri palesare la sussidiarietà dell’art. 316 ter, le due norme appaiono “in chiaro rapporto di specialità”. Sulla questione, V. Valentini, L’effetto boomerang dell’art. 316-ter c.p. fra principi costituzionali ed «obblighi» comunitari, in Cass. pen., 2005, 1, 66 ss.

[6] P. Pisa – E. Calcagno, Mendacio e truffa: un problema ancora irrisolto, in Dir. pen. proc., 2006, 1385; G. Fornasari, Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in A. Bondi – A. Di Martino – G. Fornasari, Reati contro la p.a., Torino, 2004, 160 sottolineava come l’interpretazione in termini di specialità produrrebbe conseguenze opposte all’intenzione del legislatore. Cfr. altresì L. Picotti, L’attuazione in Italia degli strumenti dell’Unione europea per la protezione penale degli interessi finanziari comunitari, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2006, 643 s.

[7] Corte Cost., 8 marzo 2004, n. 94.

[9] C. Manduchi, Nota a Corte Costituzionale n. 95 del 2004. Un auspicato intervento della Consulta nella storia dei tormentati rapporti tra l’art. 316-ter e l’art. 640-bis c.p., in Cass. pen., 2004, 2253 ss.; B. Mancuso, Indebita percezione di erogazioni pubbliche tra specialità e sussidiarietà, in Dir. pen. proc., 2004, 1369 ss.

[10] Cass., S.U., 19 aprile 2007, n. 16568, con nota di S. Grillo, Truffa aggravata e indebita percezione di erogazioni a danno dello stato: intervengono le Sezioni Unite, in Dir. pen. proc., 2007, 897 ss. e di V. Valentini, Le Sezioni Unite consacrano la primazia dell’art. 316-ter c.p.: un epilogo consapevole?, in Cass. pen., 2007 4526 ss.

[11] Cass., S.U., 25 febbraio 2011, n. 7537, commentata da: F. Bellagamba, Specialità e sussidiarietà nei rapporti tra truffa aggravata ed indebita percezione di erogazione pubbliche, in Dir. pen. proc., 2011, 963 ss.; G. Leo, La presentazione di false attestazioni sul reddito a fini di esenzione dal ticket sanitario, ove risulti sufficiente a conseguire la prestazione senza versamento del contributo, integra il delitto di cui all’art. 316-ter c.p., in www.penalecontemporaneo.it

[12] M. Riverditi, Delitti a tutela dell’attività di finanziamento pubblico, in C.F. Grosso – M. Pelissero (a cura di), Reati contro la pubblica amministrazione. Trattato di diritto penale, diretto da C.F. Grosso – T. Padovani – A. Pagliaro, Milano, 2015, 158; di contrario avviso: C. Colombo – G. Izzo, Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, in Riv. pen., 2015, 1042, che rilevano l’assenza di fraudolenza nelle condotte di cui all’art. 316 ter c.p.

[13] Nitida la raffigurazione di C. Pedrazzi, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, 124. L’A. considera gli elementi costitutivi della truffa come “anelli di una catena causale”: il soggetto passivo, indotto in errore dalle condotte artificiose dell’agente, si forma un convincimento “che non rispecchia la realtà delle cose” e si determina, così, a compiere un atto dispositivo sulla sua sfera patrimoniale. Sui problemi riguardanti tale riscontro, trattandosi, innanzitutto, di accertare la sussistenza di un rapporto di causalità psicologica, G. Demuro, La sequenza causale nella truffa, Torino, 2022, 50 ss.; volendo, G. Ponteprino, Il concorso morale nel reato. Il problematico riscontro della causalità psichica, Torino, 2024, 359 ss.

[14] Il fatto che l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elemento essenziale per la configurazione dell’art. 316 ter comporta l’assorbimento del reato di falso di cui all’art. 483 c.p., che invece concorre indiscutibilmente con la truffa. Cfr.  Cass., S.U., 19 aprile 2007, n. 16568, cit.

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[15] Criticamente, M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. Commentario sistematico, IV ed., Milano, 2019, 96, ad avviso del quale “la linea divisoria tracciata dalle S.U” finisce con il dipendere unicamente dal fatto che il singolo procedimento di erogazione preveda o meno il concreto riscontro del possesso dei requisiti da parte dell’istante.

[16]  Ex plurimis: Cass., II, 13 settembre 2011, 33841; Cass., VI, 16 novembre 2018, 51962, reperibili in De Jure; più di recente: Cass., II, 3 aprile 2024, n. 13573; Cass., II, 27 ottobre 2023, n. 49754, in One Legale.

[17] Lo rileva M. Pelissero, Frodi ed abusi nei finanziamenti pubblici: interferenze tra fattispecie e questioni aperte in tema di concorso apparente di norme, in Studi in onore di Franco Coppi, Torino, 2011, 520. Emblematica di un simile approccio è Cass., II, 3 ottobre 2023, n. 46209, con nota di G. De Muro, La qualificazione del silenzio nella truffa, in Dir. pen. proc., 2024, 489 ss., la quale, con riguardo alla truffa contrattuale, ha riconosciuto la rilevanza del c.d. “silenzio espressivo”, che si risolve in un “comportamento concludente idoneo ad ingannare la persona offesa”.

[18] Cfr. A. De Lia, Il momento consumativo nelle fattispecie criminose in materia di agevolazioni finanziarie alle imprese, in Arch. pen., 1/2018, 14.

[19] Cass., S.U., 19 aprile 2007, n. 16568, cit., par. 5; Cass., S.U., 25 febbraio 2011, n. 7537, cit., par. 6.

[20] Cass., S.U., 25 febbraio 2011, n. 7537, cit.

[21] Sull’ampia latitudine applicativa dell’art. 316 ter, M. Pelissero, I delitti contro la pubblica amministrazione, in R. Bartoli – M. Pelissero – S. Seminara, Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, Torino, 2024, 484 ss.

[22] Cfr. Cass., VI, 18 luglio 2019, n. 31903; Cass., VI, 25 luglio 2022, n. 29674; Cass., VI, 23 novembre 2016, n. 51334; Cass., II, 16 marzo 2016, n. 15989; Cass., II, 17 ottobre 2010, n. 48663, in One Legale. Cass., VI, 26 novembre 2019, n. 7963, in De Jure. Sul tema, ampiamente, L. Tumminello, L’indebito conguaglio da parte del datore di lavoro di prestazioni da anticipare al lavoratore per conto dell’Inps. Prospettive de iure condito e de iure condendo, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2023, 258 ss.

[23] Cass., VI, ord. 11 luglio 2024, n. 27639, par. 5.

[24] Sulle fattispecie ad analogia espressa: G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, XIII ed., Milano, 2024, 94 s.; M. Vogliotti, Dove passa il confine? Sul divieto di analogia nel diritto penale, Torino, 2011, 120 ss.

[25] C. Cost., 30 luglio 2008, n. 327.

[26] Cass., VI, ord. 11 luglio 2024, n. 27639, par. 5.

[27] “Recante misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico” e convertito con modificazioni nella l. 28 marzo 2022, n. 25.

[28] S. Seminara, art. 316 ter, in G. Forti – S. Riondato – S. Seminara, Commentario breve al codice penale, VII ed., Padova, 2024, 1178 ss., il quale osserva come la modifica della rubrica elimini il richiamo allo Stato, dal momento che la norma si applica anche al cospetto di erogazioni comunitarie.

[30] C. Cost., 14 maggio 2021, n. 98, commentata da: F. Palazzo, Costituzione e divieto di analogia, in Dir. pen. proc., 2021, 1218 ss.; C. Cupelli, Divieto di analogia “in malam partem” e limiti dell’interpretazione in materia penale: spunti dalla sentenza 98 del 2021, in Giur. cost., 2021, 1807 ss.; L. Risicato, Argini e derive della tassatività. Una riflessione a margine della sentenza costituzionale n. 98/2021, in Discrimen, 16 luglio 2021; M. Scoletta, Verso la giustiziabilità della violazione del divieto di analogia a sfavore del reo (nota a Corte cost n. 98/2021), in AIC, 5 ottobre 2021.

[31] Ibidem. Sulla questione, si veda G. Marinucci, L’analogia e la punibilità svincolata dalla conformità alla fattispecie penale, in Riv. it. dir. pen. proc., 2007, 1267 s.

[32] Diffusamente, L. Tumminello, Obblighi contributivi e tutela penale della sicurezza sociale, Torino, 232 ss.; I. Giacona, Il delitto d’indebita percezione di pubbliche erogazioni (art. 316-ter c.p.): effetti perversi di una fattispecie mal formulata, in Cass. pen., 2012, 3402 ss.

[33] Aderendo all’impostazione seguita da Cass., VI, 28 settembre 2021, n. 37085, in One Legale.

[34] In questo senso, Cass., II, 28 febbraio 2012, n. 7662, Rv. 251975.

[35] Cass., VI, 28 settembre 2021, n. 37085, cit.; trattasi dell’indirizzo prevalente in giurisprudenza. Si vedano, per tutte: Cass., III, 8 gennaio 2021, n. 389, Rv. 280776: “Il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 si configura, sia in caso di c.d. compensazione verticale, riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea, sia in caso di c.d. compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, in quanto si concretizza in una condotta omissiva supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione fondata su di un credito inesistente o non spettante. In questa prospettiva, l’indebito risparmio di imposta che la norma incriminatrice tende a colpire non può essere limitato al mancato versamento delle imposte dirette o dell’IVA, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo previdenziale e assistenziale, il cui mancato pagamento, attraverso lo strumento della compensazione effettuata utilizzando crediti inesistenti o non spettanti, determina per il contribuente infedele un analogo risparmio di imposta”. In senso conforme, v. altresì Cass., fer., 14 settembre 2022, n. 33893, in One Legale, su cui C. Santoriello, Confermata l’indebita compensazione per debiti previdenziali ed assistenziali, in Fisco it., 2022; incidentalmente, C. Cost, 21 febbraio 2019, n. 35. In argomento v. G. Bonifacio, Sulla specie dei debiti e crediti la cui indebita compensazione integra il delitto previsto dall’art. 10- quater, d.lgs. n. 74 del 2000, in Dir. prat. trib., 2021, 2432 ss.

[36] Di questo avviso: Cass., I, 13 settembre 2019, n. 38042, in One Legale; Cass., II, 19 aprile 2016, n. 15989, cit. Sulla questione, N. Zanotti, L’incerto ambito di applicazione del reato di indebita compensazione, in Dir. prat. trib., 2021, 1424 ss.

[37] Per chiarezza espositiva riportiamo di seguito il testo dell’art. 2, comma 1 bis: “L’omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1, per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”.

[38] La giurisprudenza è consolidata nel seno di ritenere che tale delitto configura una fattispecie a consumazione prolungata o caratterizzata da progressione criminosa, “nel cui ambito, superato il limite di legge, le ulteriori omissioni consumate nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario”: sicché “per determinare il superamento o meno del limite di legge di 10.000 euro, occorre considerare tutte le omissioni verificatesi nel medesimo anno”. Ex plurimis: Cass., III, 9 gennaio 2024, n. 9196; Cass., III, 9 gennaio 2017, n. 649, in One Legale.

[39] Cass., S.U., 18 gennaio 2018, n. 10424, commentata da E. Penco, Omesso versamento di contributi previdenziali e nuova soglia di punibilità secondo le Sezioni Unite, in Dir. pen. proc., 2018, 1176 ss.

[40] Sulla dimensione residuale di tale reato: C. Santoriello, Truffa ai danni dello Stato: la falsificazione dei modelli DM/10 seguita da indebita compensazione, in Fisco.it, 2014.

[41] L. Tumminello, L’indebito conguaglio da parte del datore di lavoro, cit., 280 ss.

[42] Ampi riferimenti in C. Benussi, art. 316 ter c.p., in E. Dolcini-G.L. Gatta (diretto da), Codice penale commentato, V ed., Milano, 2021, 551.

[44] Ad esempio: Cass., VI, 4 maggio 2023, n. 18333; Cass., VI, 21 marzo 2022, n. 9661; Cass., VI, 23 settembre 2021, n. 45917; Cass., III, 8 ottobre 2014, 6809; Cass., II, 9 marzo 2015, 26761, in One Legale. La categoria dei reati a consumazione frazionata è stata coniata dalla giurisprudenza in materia di usura e di corruzione sul finire degli anni ’90 del secolo scorso: tali delitti sono già perfetti con la concretizzazione della prima condotta illecita (in caso di corruzione: con la conclusione del pactum sceleris) ma, qualora vengano successivamente realizzate le altre condotte descritte dalla fattispecie incriminatrice (ad esempio, quando alla pattuizione illecita segua l’effettiva dazione del denaro o dell’altra utilità), si assiste ad uno spostamento “in avanti” del momento consumativo (che, di fatto, coincide con l’ultima dazione del denaro o dell’altra utilità). Nella prassi, si considerano come tali quei delitti nei quali si assiste a una reiterazione della causazione dell’evento; si pensi, per l’appunto, alle particolari ipotesi di truffa o di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato in cui l’agente, sin dall’inizio, ha la volontà di realizzare un unico evento destinato a protrarsi nel tempo siccome l’ingiusto profitto viene conseguito in forma rateizzata. Cfr. G. Cocco, Reato istantaneo, di durata e a più fattispecie. questioni controverse di unità e pluralità, in Resp. civ. prev, 2017, 374B ss.; A. Aimi, Le fattispecie di durata. Contributo alla teoria dell’unità o pluralità di reato, Torino, 2019; S. Braschi, La consumazione del reato. Fondamenti dogmatici ed esigenze di politica criminale, Padova, 2020, 227 ss.

[45] In questo solco, a detta dell’ordinanza de qua, si porrebbero: Cass., VI, 8 gennaio 2021, n. 10790, Rv. 281084; Cass., VI, 23 ottobre 2010, n. 48820, Rv. 257430.

[46] Incidentalmente, Cass., II, 20 gennaio 2023, n. 2351, in One Legale, che inquadra nel novero dei reati a consumazione prolungata quelle ipotesi delittuose caratterizzate dalla “reiterazione di condotte che rimangono distinte tra di loro”, individuando “il momento consumativo in quello in cui avviene la cessazione delle condotte dell’agente”.

[47] Cfr. Cass., VI, 9 agosto 2021, n. 31223, in One Legale; Cass., II, 19 aprile 2016, n. 15989, cit.; Cass., VI, 25 febbraio 2020, n. 7462, cit.

[48] La questione è tematizzata da R. Bartoli, Nuovi scenari della legalità penale tra regole ermeneutiche, giustiziabilità dell’analogia, nomofilachia e mutamento sfavorevole, in Sist. pen., 28 giugno 2022, 8 ss.; F. Palazzo, Legalità penale, interpretazione ed etica del giudice, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 1261.

[50] Cfr. Cass., III, 12 aprile 2023, n. 15261, cit., la quale – suscitando non poche perplessità – afferma, tuttavia, che “nella nozione di atti commessi in presenza di un minore possono, infatti, essere inclusi, senza far ricorso alla analogia, ma sulla base di una interpretazione della disposizione che tenga conto dei mezzi di comunicazione attualmente esistenti e delle possibilità dagli stessi offerte, anche quelli realizzati a distanza ma condivisi in tempo reale mediante mezzi di comunicazione telematica (come nel caso in esame mediante la cosiddetta diretta Instagram), posto che attraverso detti mezzi si ottiene il medesimo risultato di far assistere un minore al compimento di atti sessuali nel corso della loro realizzazione”.

[51] Parafrasando i dicta di Cass., S.U., 25 febbraio 2011, n. 7537, cit.; Cass., VI, 25 luglio 2022, n. 29674, cit.

[52] Per tutti, M. Pelissero, I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., 486.

[53] Cfr. Cass., VI, 23 ottobre 2010, n. 48820, cit. La S.C. perviene a medesime conclusioni laddove l’agente ometta di comunicare l’insorgenza di una condizione ostativa all’erogazione della pensione di invalidità, continuando a percepirla mensilmente: anche in tal caso “il termine di prescrizione decorre dalla cessazione dei pagamenti, mentre ai fini del superamento della soglia di punibilità rileva il complessivo importo delle erogazioni indebitamente riscosse”. Cfr., ad esempio, Cass., VI, 23 settembre 2021, n. 45917, in Dir. prat. lav., 2022, 426 ss.; Cass., VI, 21 marzo 2022, n. 9661, in One Legale.

[54]  Si vedano: Cass., II, 19 aprile 2016, n. 15989, cit.; Cass., VI, 25 febbraio 2020, n. 7462, cit.; Cass., VI, 25 luglio 2022, n. 29674, cit.

[55]  Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Parere 11 ottobre 2016 n. 18746.

[56] In proposito, G. Salcuni, L’ipotutela delle frodi agli enti pubblici, in Riv. trim. dir. pen. ec., 114 ss.

[57] Per la formulazione di alcune interessanti proposte de jure condendo: L. Tumminello, L’indebito conguaglio da parte del datore di lavoro, cit., 280 ss.



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