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«Segnali positivi di crescita ma per il Mezzogiorno, bisogna fare ancora di più» #finsubito prestito immediato

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«Segnali importanti e positivi di crescita dell’economia meridionale, tuttavia i divari occupazionali, sociali, infrastrutturali e dei servizi con il resto del paese e con l’Europa restano ancora evidenti». Il segretario nazionale della Cisl Luigi Sbarra, martedì tra gli ospiti della Fiera del Levante di Bari, chiede al governo un ulteriori sforzo a beneficio del Sud.

Segretario Sbarra, nel suo messaggio per la Fiera del Levante, la premier Meloni ha riconosciuto al Sud il ruolo di locomotiva d’Italia. Condivide? E secondo lei cosa ha reso tale questo ruolo?

«Ci sono dei segnali importanti e positivi di crescita dell’economia meridionale, sia per quanto riguarda il Pil ed il livello di esportazioni, sia per l’incremento positivo dell’occupazione stabile ed a tempo indeterminato, in particolare di donne, come hanno confermato anche l’Istat, Banca d’Italia e Svimez. Questo è il frutto non solo delle risorse e degli incentivi statali agli investimenti, ma anche di un dinamismo del tessuto produttivo meridionale, soprattutto nei settori dell’agroalimentare, dell’edilizia, dell’hi-tech, del terziario e del turismo, grazie al contributo formidabile che hanno dato i lavoratori meridionali dopo la fase difficile della pandemia. Tuttavia i divari occupazionali, sociali, infrastrutturali e dei servizi con il resto del paese e con l’Europa restano ancora evidenti. Occorre una maggiore crescita, più investimenti pubblici e privati, qualità, stabilità e sicurezza sul lavoro, formazione delle competenze, innovazione, nuove tecnologie, infrastrutture, una nuova politica industriale, sostenibilità ambientale. Per fare tutto questo, occorre un grande accordo tra governo e parti sociali. Bisogna allargare gli spazi di partecipazione, lasciandoci definitivamente alle spalle un Novecento caratterizzato da antagonismo tra imprese e lavoratori, tracciando un solco netto e non più valicabile rispetto ad un’epoca segnata dal conflitto tra capitale e lavoro, e della contrapposizione per entrare pienamente nella stagione della partecipazione».

L’Autonomia differenziata cosa determina nel percorso di crescita del Sud?

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«L’autonomia differenziata ha senso se rafforza l’unità e la coesione nazionale, diversamente rischia di rivelarsi una riforma assolutamente sbagliata. Precondizioni essenziali di ogni accordo tra Stato e Regioni dovranno essere il pieno finanziamento dei Lep, l’individuazione dei fabbisogni standard, la creazione di un fondo di perequazione nazionale e bisogna tenere la legge lontana dalla contrattazione collettiva nazionale e dalla scuola. Detto questo noi non condividiamo sull’autonomia differenziata l’approccio apocalittico da una parte e il tentativo, dall’altra, di farla passare come la panacea di tutti i mali. Non ci iscriviamo né all’una né all’altra fazione, e facciamo nostre le parole di Sabino Cassese: la riforma è una realtà in Costituzione dal 2001 e a ben vedere è un disegno prefigurato in nuce dagli stessi padri costituenti. Si tratta di dargli buona applicazione, garantendo che l’attuazione assicuri solidarietà, coesione sociale e unità del Paese».

Con Pnrr e fondi di Coesione (accordo in arrivo anche per la Puglia) il contesto occupazionale sta beneficiando dell’evoluzione auspicata?

«Ci sono tutte le condizioni per una svolta positiva. Ma bisogna mettere a sistema e coordinare tra loro tutti gli strumenti di politica territoriale, utilizzando in modo sinergico i finanziamenti della politica di coesione, sia europei che nazionali. Il Mezzogiorno non ha mai avuto tante risorse a disposizione come negli ultimi anni. Non possiamo sprecare questa occasione storica. Bisogna spendere al meglio i fondi del Piano, assumendo negli enti locali le competenze necessarie a trasformare le dotazioni in progetti e i progetti in cantieri. Cosi come dobbiamo saper utilizzare la Zes unica, il credito di imposta, e la decontribuzione per le assunzioni al Sud, che deve diventare strutturale. Possiamo aprire insieme una prospettiva nuova e promuovere attivamente trasformazioni e crescita delle comunità produttive e dei territori. Questa è la strada per fermare anche la fuga dei nostri giovani dal Sud».

L’industria, che sorregge tanto il Pil anche della Puglia, sta soffrendo. E la crisi dell’automotive non sembra poter rasserenare lo scenario. Come occorrerebbe intervenire per evitare il peggio?

«È da anni che parliamo di rischio occupazionale, di pericolo di deindustrializzazione, di 70 mila lavoratori italiani a rischio. Servono interventi a livello europeo e nazionale capaci dare garanzie occupazionali, riqualificazione, nuove competenze. Politiche che rilancino l’industria continentale mettendo in sinergia, e non in competizione, le specialità produttive di ogni Paese. La crisi del settore auto è davvero preoccupante. Tutti gli stabilimenti italiani sono in negativo e perdono sia le auto sia i veicoli commerciali. Nel 2024 la produzione di veicoli in Italia scenderà sotto le 300 mila unità, un terzo in meno del 2023. Saremo in piazza accanto ai metalmeccanici il 18 ottobre a Roma per sollecitare una svolta nella politica industriale e negli investimenti. Stellantis e gli azionisti italiani di questo gruppo devono assumersi le proprie responsabilità e attuare un piano di rilancio su cui il Governo deve farsi garante. In gioco c’è il futuro industriale del paese».

L’intelligenza artificiale è un tema predominante. Ma non sembra affatto conciliarsi con quello, non impellente, della necessità dell’aumento dei salari. Qual è il giusto compromesso?

«L’IA, se ben governata, può aiutare ad incrementare i livelli di sicurezza nelle fabbriche, a migliorare i controlli nei luoghi di lavoro, ad elevare una produttività che va redistribuita sui salari. Si tratta di garantire condizionalità sociali ed etiche nell’imprinting delle intelligenze artificiali gestendo la costruzione degli algoritmi con il dialogo sociale, la contrattazione collettiva, la partecipazione attiva del mondo del lavoro. Abbiamo anche bisogno di un grande investimento sulle nuove competenze per incrementare il valore aggiunto di un lavoro oggi ancora troppo polarizzato. Le tecnologie devono essere al servizio della persona, e non il contrario.

Ieri avete organizzato da soli un sit in a Roma contro il Ddl sicurezza, approvato in questi giorni alla Camera e ora all’esame del Senato. Quali diritti sono in gioco?

«È sbagliato e improprio l’inasprimento previsto per i blocchi stradali in occasione di manifestazioni sindacali, che passerebbe da una sanzione pecuniaria alla pena detentiva. La garanzia dell’ordine pubblico e della protezione dei beni pubblici e privati è un principio sacrosanto, ma va necessariamente bilanciato con il riconoscimento della libertà a manifestare in maniera non violenta, che è un pilastro della nostra democrazia. Lo abbiamo detto ieri con chiarezza ai capi gruppo di maggioranza al Senato. Siamo certi che il Parlamento saprà ascoltare la nostra voce, che è anche quella di tanti lavoratori in sofferenza, costretti a manifestare perché vivono sulla loro pelle il dramma delle crisi aziendali, della cassa integrazione, delle minacce di licenziamento, di impostazioni aziendali spesso predatorie».

Resta purtroppo attuale il tema della sicurezza sul lavoro. Ancora troppi morti, al Sud in particolare. Al di là delle buone intenzioni, su quali leve bisogna agire? Basterà la patente a punti.

«La patente a crediti è uno strumento fortemente voluto dalla Cisl che consentirà di qualificare il settore delle costruzioni grazie a un sistema che ne prevede la sospensione in caso di infortuni che causano inabilita’ permanente e la riduzione dei crediti in caso di incidenti. Ora bisogna estenderla ad altri settori, fare più controlli e ispezioni, assumere maggiore personale, dare più poteri ai rappresentanti dei lavoratori nelle aziende, costruire un grande accordo per incrementare le ore di formazione obbligatoria per imprenditori e lavoratori, investire molto di più in prevenzione e cultura della sicurezza, a partire dalle scuole. Abbiamo apprezzato l’apertura del Presidente di Confindustria, Orsini, sulla necessità di costruire un nuovo Patto sulla sicurezza. Lo spirito che serve è questo: Governo, Autonomie locali, Imprese, Sindacato, lavorino in modo sinergico per fermare la scia di sangue. Dove c’è sicurezza, dove c’è tecnologia, dove c’è più coinvolgimento dei lavoratori, c’è anche maggiore competitività e produttività».

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