«Aprirsi al capitale di rischio e ai fondi d’investimento» #finsubito prestito immediato

ANCONA Dalle banche alla finanza alternativa, il passo non è breve, ma obbligato. Due, gli elementi che suggeriscono il cambio di rotta: le crescenti difficoltà nell’accesso al credito e le modifiche nei fattori di competitività. Il sunto: è inutile continuare a rimpiangere la filiale sotto casa e il direttore dal volto amico. Lo scatto è imprescindibile: l’impresa deve aprirsi al capitale di rischio e ai fondi d’investimento. L’avvertimento vale soprattutto per le piccole e medie aziende che, per tradizione, raccolgono risorse con l’autofinanziamento, ovvero reinvestendo gli utili, o con il credito bancario. Meccanismi, questi, che hanno subito un drastico ridimensionamento per effetto della lunga crisi iniziata nell’autunno del 2008. A scorrere l’ultimo rapporto regionale di Bankitalia emerge che nel 2023 i prestiti bancari al settore produttivo, in calo dalla fine del 2022 (-1,4% a dicembre), sono diminuiti del 6,5%, più che nel resto del Paese. La flessione è risultata più intensa tra le micro realtà, la cui contrazione, in atto dal primo trimestre 2022, si è accentuata nel corso del 2023: -9,1% a dicembre.

Le cifre 

A perdere terreno sono state soprattutto manifattura e costruzioni, rispettivamente dell’8,8 e del 7%; più contenuto il segno meno, che precede la voce dei servizi: 4,7%. Secondo le info qualitative raccolte presso le banche, il decremento è connesso alla debolezza della domanda, imputabile al rialzo dei tassi d’interesse, e alle politiche d’offerta degli intermediari, nella traccia della prudenza.

La contromossa

Parte da un assunto, Donato Iacobucci: «La capacità di procurarsi risorse finanziarie adeguate è fondamentale per sostenere crescita e innovazione». Il docente di Economia Applicata della Politecnica dà seguito al suo costrutto: «Tutto ciò impone alle imprese la necessità di considerare canali alternativi nel reperimento di risorse finanziarie esterne». Arriva al bivio: «Se non si compie il salto di qualità si resta piccoli oppure si vende». Le cifre ordinate nel rapporto su acquisizioni&fusioni, firmato dal Centro di Ricerca per l’Innovazione e l’Imprenditorialità della Politecnica con il sostegno della Fondazione Aristide Merloni e della società Altovalore, sono un viaggio di sola andata: dal 2000 a oggi sono state 58 le aziende cedute. Oltre il numero, è la qualità che lo compone a preoccupare: nell’elenco figurano pesi massimi del calibro di Indesit, Guzzini, Cnr nautica, le moto della Benelli, passate in mani cinesi. Procedendo di scorporo, di questi gioielli di famiglia, 34 sono rimasti in Europa, 14 sono finiti in Asia e 10 negli States. Un cedere al mondo. Bancocentrici, è il fenomeno tutto italiano che descrive Iacobucci. «Il tema è l’eccessiva dipendenza dal credito bancario, che costituisce praticamente l’unica fonte di finanziamento esterna». Poco incisivi sono stati i provvedimenti normativi che si sono succeduti negli ultimi anni per rendere più convenienti gli apporti di capitale di rischio, o strumenti come i minibond. La resistenza è sempre tanta: «La preferenza per il credito bancario da parte degli imprenditori – dettaglia Iacobucci – è dovuta anche all’obiettivo di limitare l’ingerenza dei finanziatori esterni nelle scelte dell’impresa». 

L’icona 

Una propensione spiegata dal modello di governance tipico del made in Marche, proprietà e gestione familiare, e dalle necessità di flessibilità e rapidità decisionale. Il rovescio della medaglia: «A pagare – evidenzia l’economista – sono soprattutto le startup». Converte in un’immagine iconica la sua convinzione: «Mark Elliot Zuckerberg, uno dei fondatori di Facebook, sarebbe rimasto nel suo garage delle origini». Per il prof è «un cane che si morde la coda: il sistema del capitali non si adegua perché la domanda resta bassa, ma senza l’incalzare della domanda il sistema non è stimolato a migliorare». Il legame indissolubile di domanda& offerta, linfa del pensiero economico.