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MODENA. Lo smart working in periodo Covid e l’esplosione degli smartphone multiapp che, di fatto, ti permettono di portare sempre con te “in tasca”, la scrivania dell’ufficio, hanno da un lato favorito lo svolgere del lavoro con più tranquillità, ma dall’altro creato quel senso di connessione infinita con il lavoro che alla lunga può creare non pochi problemi. Anche di natura psicofisica. Ecco perché la tutela del diritto alla disconnessione è diventata ormai un’urgenza. Le interazioni digitali sono sempre più correlate a effetti dannosi sulla salute mentale e sui meccanismi che regolano il cervello. La pandemia ha fatto esplodere la necessità dello smart working e ha generato la necessità di una riflessione sul modello organizzativo del lavoro. Turni e orari di lavoro si sono fatti più labili e meno definiti in termini classici e questo, soprattutto sulle generazioni più giovani, ha avuto un impatto significativo.
All’interno di questo quadro nasce il disegno di legge “Lavoro e poi stacco” sul diritto alla disconnessione presentato alla Camera la scorsa settimana dal Pd e da “l’asSociata”, associazione di giovani che si pone come obiettivo quello di mettere a contatto tutte le realtà di volontariato giovanile partitico e apartitico. Il progetto nasce dalla riflessione sulla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro con l’obiettivo di introdurre dei limiti alla reperibilità al di fuori dell’orario di lavoro, ambiti in cui le regole di ingaggio non sono finora state chiarite né regolamentate quanto è ormai necessario fare.
Nel 2021 il Parlamento europeo ha invitato gli Stati membri a riconoscere il diritto alla disconnessione come fondamentale in quanto inseparabile dai nuovi modelli di lavoro e in Europa ci sono già esempi di politiche attive in questo ambito. Nel 2016 la Francia è stata la prima a normare il diritto alla disconnessione nelle aziende, seguita dalla Spagna nel 2018, dal Portogallo e dall’Irlanda nel 2021 e anche il Belgio nel 2022 ha emanato una normativa per i dipendenti della Pubblica Amministrazione.
L’Italia è tra i Paesi in cui manca ancora una normativa.
La legge 81 del 2017 ha introdotto il problema dei tempi di separazione dagli strumenti digitali demandando il tema dell’iperconnessione alla trattativa tra datore di lavoro e dipendente. Nel 2021 il decreto legge n. 30 ha normato la possibilità di scollegarsi dalle piattaforme dell’azienda e in seguito è stato approvato il protocollo sul lavoro agile. Tuttavia non si è mai arrivati a una legislazione che regoli direttamente i turni e riconosca ai lavoratori una serie di strumenti e di diritti esigibili e rivendicabili.
Spiega il deputato Arturo Scotto, capogruppo Pd Commissione Lavoro primo firmatario di “Lavoro e poi stacco”: «La proposta di legge interviene sulle due fattispecie di lavoro dipendente e lavoro autonomo e prevede che nelle 12 ore successive al turno di lavoro il lavoratore non possa essere raggiunto attraverso gli strumenti classici tramite cui viene normalmente contattato fuori dall’orario di lavoro: cellulare, mail, piattaforme, tablet, … La proposta prevede inoltre che le aziende con più di 15 dipendenti forniscano ai lavoratori i device, cioè gli strumenti tecnologici di lavoro in modo da separare i dispositivi privati, come il telefono cellulare, da quelli aziendali su cui essere raggiunti. Contemporaneamente il lavoro extra orario in cui si è connessi per esempio per un’eventuale urgenza o perché non si può dire di no, deve essere calcolato come straordinario».
Anche se può apparire una forma di iper regolamentazione, il lavoro a distanza ha di fatto determinato una generazione di lavoratori che non stacca mai, che si trova sempre concentrata sul lavoro e che spesso non può rifiutarsi di staccare perché la propria condizione contrattuale è intermittente, precaria, a termine, in una condizione di subordinazione estrema e quindi in una situazione in cui si verifica l’impossibilità di esigere il diritto di staccare per dedicarsi alla famiglia o alle proprie passioni o, in generale, ad attività extra lavorative.
«I dati di Inps e Inail confermano l’aumento delle malattie professionali a causa di livelli di stress molto alto e casi di sindrome del burnout. Sono fenomeni che potremmo definire non più patologici ma fisiologici della forma di capitalismo in cui viviamo, grandi dimissioni di lavoratori soprattutto nel post pandemia con numeri impressionati paradossalmente nei Paesi a capitalismo più avanzato come gli Stati Uniti d’America» afferma Scotto.
Il diritto alla disconnessione si profila come il completamento di un’iniziativa che il Pd sta mettendo in campo da mesi e che riguarda la qualità del modello produttivo del nostro Paese, intervenendo sulla questione dei salari e della battaglia contro la povertà salariale e la precarietà, ma non solo: «Quella della riduzione dell’orario di lavoro è un’altra strada che stiamo esplorando e su cui abbiamo concluso lo scorso giovedì un accordo tra Pd, M5S e Avs. Un disegno unitario che verrà discusso in Parlamento dopo la seconda metà di ottobre. Dentro questo quadro c’è il tema del diritto alla disconnessione».
La riduzione dell’orario di lavoro andrà in Aula il 21 ottobre mentre la proposta di legge sul diritto alla disconnessione è stato presentato e depositato ora.
Conclude Scotto: «Chiederemo in Commissione del Lavoro che venga incardinato e possa avere un suo percorso di audizioni anzitutto tra gli attori fondamentali che devono rispondere su questo terreno: sindacati, datori di lavoro, le associazioni e coinvolgendo i mondi accademici. Mi auguro che per il prossimo anno riusciremo a portarla in Aula. Da questo punto di vista chiediamo anche alla destra di aprire una riflessione, una sfida comune e la sfida della qualità del lavoro. La proposta nasce dal Pd ma è a disposizione per la discussione di tutti, degli alleati così come di tutto il Parlamento».



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