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I dati sulla produzione della cannabacea e sui consumi di birra. In Italia il settore resta in fermento: aumentano i birrifici artigianali

I dati dell’International Hop Growers’ Convention relativi al 2023 confermano il primato degli Stati Uniti per superficie coltivata e produzione di luppolo, seguiti dalla Germania (fig. 1 a e b). I primi cinque Paesi al mondo rappresentano insieme quasi l’83% della superficie coltivata e l’89% della produzione globale. Ne consegue, che eventuali eccessi o scarsità di offerta in uno di essi, influenzi inevitabilmente lo scenario generale, proprio come si sta verificando in questo momento.

Dopo un decennio di crescita, nel 2023 si è interrotto il trend positivo che ha caratterizzato l’espansione delle superfici attestatesi sui 60mila ettari (-3,9% rispetto al 2022). Su tale calo ha inciso, soprattutto, la contrazione degli areali destinati alla produzione di varietà aromatiche che, negli Stati Uniti, è stato comunque bilanciato dall’aumento delle superfici di varietà da amaro. Lo scenario risulterebbe in peggioramento nel 2024.

In base agli ultimi dati pubblicati dal Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (Usda), le superficie coltivate risulterebbero in contrazione del 18%, con una diminuzione di quelle destinate a varietà aromatiche del 29% e del 13% per quelle da amaro. Al contempo, a livello globale, si rileva una presenza importante di eccedenze di luppolo stoccate nelle celle frigorifere, che, a fronte di un calo della domanda da parte dei birrifici artigianali, induce gli esperti del settore a prevedere un’ulteriore riduzione delle superficie nel 2025.

luppoloCome in tutte le situazioni di eccesso di offerta sui mercati agricoli, e di successiva riduzione del prezzo di mercato, il surplus di luppolo sta generando preoccupazione a livello internazionale tra gli addetti ai lavori e non solo. Un surplus generato da più fattori, tra cui: sicuramente la diminuzione nelle vendite di birra, la tipologia contrattuale che regola la relazione tra domanda e offerta e una piantumazione eccessiva da parte degli agricoltori, registratasi sull’onda della crescente popolarità della birra artigianale nel periodo pre pandemico e che oggi, invece, sta sperimentando un rallentamento significativo a livello globale.

Per quanto riguarda i Paesi europei, la coltivazione di luppolo – attività che riguarda più di duemila aziende agricole (Commissione europea, 2024) – e che risulta estesa per circa 31mila ettari (BarthHaas, 2023), starebbe accusando le repentine variazioni climatiche degli ultimi anni, con periodi siccitosi (2022-2023) alternati ad altri particolarmente piovosi (2024), fattori che hanno minato i raccolti nei principali Paesi produttori dell’Unione europea (Ihgc, 2023).

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Giù consumi e produzione

La coltivazione di luppolo in Italia può essere considerata una filiera alternativa che ancora stenta a partire. Infatti, i dati del Crea parlano di un fenomeno in espansione ma di limitata entità che, come per i grandi produttori, risulta in contrazione nel corso del 2023, con quote di invenduto relative alle annate precedenti. Ciò nonostante, a partire dalla fine degli anni Novanta, l’Italia ha assistito all’ascesa e all’affermazione di una nuova tipologia di business nel settore birrario: il movimento della birra artigianale, che ha riscosso grande successo e credibilità, diventando, attraverso la valorizzazione delle materie prime e del legame con il territorio, uno dei fenomeni più significativi del settore agroalimentare italiano dell’ultimo decennio.

Ne è dimostrazione, ad esempio, l’andamento delle ricerche online che è possibile misurare attraverso la parola chiave “birra artigianale”. Negli ultimi 12 mesi, il termine si è mantenuto, salvo qualche picco negativo, nella fascia di ricerca medio-alta nella categoria alimenti e bevande. Tra le query di ricerca, che gli italiani hanno maggiormente associato al termine, si trovano, in ordine di importanza “birra”, “birra artigianale”, “birrificio”, “birrificio artigianale”, “produzione”. Il segmento, tuttavia, nell’ultimo triennio circa, sembrerebbe essere entrato nella fase di maturità non riuscendo a superare la quota del 4% in termini di volumi di vendita.

luppoloNonostante l’Italia importi quasi tutte le materie prime per la produzione di birra, il contributo diretto, indiretto e l’indotto del settore della birra artigianale all’economia italiana è di tutto rilievo. Considerando i dati diffusi da AssoBirra per l’Italia (2024), la produzione nazionale nel 2023 ha raggiunto i 17,4 milioni di ettolitri (fig. 2), segnando un calo del 5,5% rispetto al valore record realizzato l’anno precedente (18,3 milioni), ma superiore al volume di produzione pre pandemico (17,3 milioni).

L’aumento dei volumi produttivi in Italia è in parte legato all’incremento dei consumi registrato a partire dal 2015, anno in cui si è assistito ad un aumento del 7% (rispetto al 2014) e che ha portato l’Italia, con una quantità di 22,5 milioni di ettolitri nel 2022, a occupare la quinta posizione nell’Unione europea, preceduta dalla Francia, superando Stati membri come Romania, Repubblica Ceca e Paesi Bassi.

Secondo gli ultimi dati di AssoBirra (2024), nel 2023 il consumo di birra ha raggiunto i 21,2 milioni di ettolitri (fig. 3). Questo dato segna una diminuzione di quasi sei punti percentuali rispetto al record stabilito nel 2022, ma eguaglia il precedente valore record del 2019 e supera il dato del 2021. Rispetto a dieci anni fa (17,5 milioni di ettolitri nel 2013), inoltre, il consumo nazionale è cresciuto del 21%. Il trend descritto sottolinea il ruolo significativo che la birra riveste oggi nella cultura alimentare italiana.

Tra le birre commercializzate e consumate in Italia, la leadership di Heineken Italia si conferma nel 2023 con una quota di mercato del 32%, seguita a distanza da Birra Peroni (17,7%). Le microbirrerie si attestano su una quota del 6,8%, piuttosto stabile nel corso dell’ultimo triennio.

L’aumento della cultura birraria nel nostro Paese ha prodotto effetti anche in termini di consumo pro capite che, nel 2022, si è attestato sui 38 litri, confermando l’evoluzione positiva sul consumo di birra. Si tratta, tuttavia, di una quantità ancora lontana rispetto a quella di altri Stati membri (fig. 4). Ancora una volta, i dati per il 2023 manifestano un calo, del 5,5%, dei consumi individuali che si attestano sui 36,1 litri pro capite (AssoBirra, 2024), confermando l’anno amaro per la produzione e il consumo della bevanda.

È importante rilevare come l’aumento del consumo interno sia soddisfatto principalmente dalla produzione nazionale, un indicatore del potenziale di sviluppo per i birrifici italiani. In aggiunta, il consumo nazionale è caratterizzato dalla crescente popolarità delle birre a basso e nullo contenuto alcolico, che, attualmente, rappresentano il 2% del consumo totale, ma segnano un aumento del 4,5% rispetto al 2022.

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La crescita del settore nazionale, veicolata dalla domanda di prodotti artigianali, è testimoniata anche dall’andamento positivo delle esportazioni, che tra il 2012 e il 2023 sono aumentate dell’87% (fig. 5). Nonostante la congiuntura negativa, il 2023 segna un nuovo massimo storico negli scambi con l’estero (3,6 milioni di ettolitri), confermando l’apprezzamento per la qualità italiana, in particolare nei Paesi a forte tradizione birraria come Regno Unito, Germania e Paesi Bassi.

Più birrifici al Sud

La produzione di birra italiana è legata soprattutto ai grandi birrifici industriali: nel 2023, secondo AssoBirra (2024), erano 12, a cui vanno aggiunti gli stabilimenti piccoli o piccolissimi. Tuttavia, come in altri Paesi europei, anche in Italia si è assistito negli ultimi anni a un vero e proprio boom dei birrifici artigianali, anche se va ricordato che il movimento italiano vanta ormai un’esperienza quasi trentennale.

Attraverso i dati del Registro delle imprese è possibile quantificare i birrifici attivi nel settore (tab. 1). I dati disponibili per il quinquennio 2018-2022 mostrano, in particolare, un trend positivo in termini di numerosità d’impresa, la cui evoluzione non si è arrestata nemmeno durante l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia di Covid-19. In particolare, il numero delle imprese produttrici di birra, sede e unità locale (UL), è passato da 1.073 nel 2018 a 1.200 nel 2022 (+127 unità), censendo un incremento complessivo dell’11,8%; solo nell’ultimo anno la variazione è risultata del +2,1%.

Nel 2022, si nota una significativa concentrazione nel Nord Italia, dove sono attive 565 imprese, corrispondenti al 47,1% del totale nazionale. Al contempo, è interessante osservare che nel medio periodo è il Sud a mostrare l’incremento maggiore: tra il 2018 e il 2022 la consistenza delle imprese produttrici di birra si è accresciuta di 60 unità (+16,7%, contro il +8,5% del Centro e il +9,7% del Nord).

A livello territoriale, le regioni con la maggiore diffusione di questo tipo di imprese nell’ultimo anno sono la Lombardia, che conta 182 unità, pari al 15,2% del totale, e il Piemonte con 107 imprese (8,9%). Seguono l’Emilia-Romagna e il Veneto, entrambe con 90 imprese e un’incidenza del 7,5% sul totale nazionale, la Toscana con 83 unità (6,9%) e la Puglia con 76 unità (6,3%), unica realtà del Sud a rientrare nella top five.

Osservando la dinamica temporale, è possibile arricchire il dettaglio informativo sul comparto rilevando che i tassi di crescita più consistenti nel quinquennio in esame hanno riguardato prevalentemente alcune realtà territoriali (fig. 6). Tra questi, si segnalano variazioni a due cifre particolarmente rilevanti, ben al di sopra del valore medio nazionale (11,8%), nel caso della Sardegna (+34%), Calabria (+32,3%) ed Emilia-Romagna (+24,5%). Al contrario, nello stesso periodo si registrano chiusure di attività in quattro regioni (Molise, Valle d’Aosta, Marche e Veneto), mentre per la Liguria il tasso di variazione è risultato nullo.


1Luppolo, mancano fitofarmaci registrati




Diego Botta

Insieme a altri due soci, Diego Botta è titolare dal 2016 del birrificio agricolo Kauss in provincia di Cuneo. L’azienda possiede 20 ettari coltivati a orzo e mezzo ettaro a luppolo. «Dal seme alla birra, questo è il nostro punto di forza – spiega Botta –. Riusciamo a ottenere una buona redditività perché il prodotto lo trasformiamo e valorizziamo, in un concetto di filiera chiusa. Non vendiamo materia prima».

Nel birrificio agricolo coltivano cinque varietà di luppolo, una statunitense e quattro continentali. «Lavoriamo su varietà importate, ma in realtà – puntualizza – le piante messe a dimora negli anni tendono a prendere variazioni tipiche del territorio, differendo molto dai ceppi originari».

Soddisfacenti le rese, che per il luppolo si attestano mediamente su 1 kg di fiore secco per pianta, sebbene negli ultimi due anni la siccità alternata a piogge incessanti abbia ridotto la raccolta del 30%.

L’atro punto di forza dell’azienda è l’essere parte di progetti di filiera. «Collaboriamo con altre aziende limitrofe che producono luppolo e orzo, ritiriamo parte di prodotto valorizzandolo. Inoltre, siamo all’interno di una rete di imprese agricole impegnate in un progetto di maltazione collettiva con altri birrifici agricoli del Piemonte. Infine, facciamo parte di un consorzio di birrifici piemontesi che ha lo scopo di produrre e promuovere la birra da filiera agricola piemontese. Queste scelte di filiera – sottolinea Botta – portano vantaggi dal punto di vista commerciale. È vincente dare un punto di riferimento come filiera al cliente e associare un prodotto a un territorio, e riuscire a raccontare la storia di entrambi produce un profitto nel mercato brassicolo».

Tra le criticità nel coltivare luppolo la mancanza in Italia di fitofarmaci registrati. «Il luppolo è una pianta soggetta a pseudo peronospora e non solo. Ci troviamo a combattere le fitopatie con poche armi – conclude Botta –. L’assenza di prodotti antiparassitari specifici è un ostacolo per molte aziende».

Laura Saggio


2Orzo distico, buona alternativa al grano duro

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Leonardo Muscaritolo

L’orzo distico da birra è un buon sostituto del grano duro, perciò gli agricoltori lo inseriscono in rotazione. È discretamente redditizio, anche se sconta la mancanza di un aiuto Pac.

«Nel nord della Basilicata abbiamo sempre coltivato molto grano duro e poco orzo. Ma da quando l’aiuto Pac al grano duro è diminuito l’orzo distico da birra è diventato una valida alternativa, soprattutto per chi lo coltiva sulla base di un accordo di filiera – spiega Leonardo Moscaritolo che coltiva ogni anno circa 50 ettari di orzo distico a Melfi (Pz) –. Lo conferisco alla malteria Adriatica-K di Melfi».

Ogni anno, prima della semina, Moscaritolo firma un contratto di coltivazione con la malteria, che fornisce il seme e garantisce l’acquisto del raccolto. «La malteria consiglia specifiche varietà per ogni tipo di territorio: Fortuna per i terreni più aridi e siccitosi, quelli che si estendono da Melfi fino alla Puglia, Laureate per i terreni di collina, che vanno fino al Vulture, Planet per i terreni intermedi».

Oltre alla certezza di vendere il raccolto, l’accordo di filiera consente di ottenere un prezzo più alto rispetto a quello di mercato. «Alla firma del contratto non si concorda un prezzo – precisa Moscaritolo –. A luglio, dopo la raccolta, la malteria lo fissa sulla base della quotazione della borsa merci di Foggia, aggiungendo però circa due euro a quintale: quest’anno la quotazione era 18 €/q, la malteria ha pagato 20,20 €/q».

«L’orzo è un cereale più rustico, sebbene le moderne varietà lo siano meno – precisa l’agricoltore lucano –. Perciò si accontenta di una minima lavorazione invece di un’aratura, accestisce di più e contiene meglio le malerbe: basta un diserbo più leggero e meno concime. In media raccolgo 50 q/ha, quest’anno causa siccità 35 q/ha. A differenza del grano duro, l’orzo distico non gode di aiuti Pac e sostegni di filiera. Ma consente di diversificare la produzione inserendolo nella rotazione terziata grano duro-orzo-leguminose, utile in questo territorio non irriguo, dove non possiamo coltivare pomodoro e ortaggi».

Giuseppe Francesco Sportelli





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