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L’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori disciplina un procedimento speciale che tutela il sindacato dalle condotte antisindacali del datore di lavoro.
L’art. 28 della legge n. 300/1970, nota anche con il nome di Statuto dei Lavoratori, tutela il sindacato nel caso in cui il datore di lavoro provi ad impedire od ostacolare le libertà o le attività sindacali, oppure a limitare il diritto di sciopero dei lavoratori. L’art. 28 prevede un apposito procedimento volto alla repressione delle condotte antisindacali. In questa guida spiegheremo come funziona l’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori.
Quali sono le condotte antisindacali?
Per “condotte antisindacali” si intendono tutti quei comportamenti del datore di lavoro volti ad ostacolare o impedire l’esercizio delle libertà e dell’attività del sindacato, oppure il diritto di sciopero dei lavoratori.
Solo in casi rari la legge qualifica espressamente un comportamento come antisindacale. Ad esempio, nel caso in cui si proceda ad un trasferimento di azienda, l’art. 47, della legge n. 428/1990 qualifica espressamente come antisindacale il mancato rispetto da parte dei datore di lavoro dell’obbligo di consultare preventivamente il sindacato.
La maggior parte delle ipotesi di condotte antisindacali è rimessa all’interpretazione e la giurisprudenza ha elaborato una casistica dei comportamenti antisindacali.
Tra le condotte antisindacali troviamo ad esempio la determinazione del piano ferie senza preventiva informazione alla rappresentanza sindacale costituita in azienda (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 19252/2013); la mancata concessione di locali idonei per lo svolgimento dell’assemblea dei lavoratori (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 3837/2016); la minaccia ai dipendenti che decidono di aderire ad uno sciopero (Trib. Bologna 13/05/2022); il rifiuto di operare le trattenute sindacali nei confronti dei lavoratori richiedenti e aderenti al sindacato (Trib. Torre Annunziata, 16/01/2023); il rifiuto da parte del datore di lavoro – una società di “food delivery” – di fornire alle organizzazioni sindacali le informazioni sul funzionamento degli algoritmi e dei sistemi di monitoraggio dei lavoratori (Trib. Torino, 12/03/2024).
In buona sostanza, poiché non esiste un elenco tassativo dei comportamenti rientranti nella fattispecie delle condotte antisindacali, il giudice è chiamato a valutare in concreto e di volta in volta se la condotta datoriale sia di ostacolo all’esercizio della libertà e le attività sindacali o meno.
Come funziona il procedimento per la repressione della condotta antisindacale?
Quando si dovesse ravvisare la sussistenza di una condotta antisindacale, è possibile attivare l’apposito procedimento speciale disciplinato dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. Vediamone il funzionamento.
Il procedimento è instaurato con ricorso al giudice del lavoro del luogo in cui si è verificata la condotta antisindacale.
Legittimato a presentare il ricorso è il sindacato, tramite le sue organizzazioni locali; non sono invece legittimati a presentare il ricorso i singoli lavoratori, né le rappresentanze sindacali in azienda costituite dai lavoratori (cosiddette RSA o RSU).
Dopo il deposito del ricorso, il giudice, nei due giorni successivi, procede alla convocazione delle parti, assume sommarie informazione ed emana un decreto esecutivo con il quale ordina al datore di lavoro la cessazione del comportamento riconosciuto come antisindacale.
Seppur il termine di due giorni, eccessivamente breve, non viene di fatto mai rispettato, il procedimento è caratterizzato da una certa sommarietà ed è molto celere.
Ad esito di questa prima fase sommaria del procedimento dunque il giudice emana un decreto immediatamente esecutivo con cui ordina al datore di lavoro di interrompere la condotta antisindacale.
Avverso tale decreto è possibile presentare opposizione, tramite riscorso, entro quindici giorni. L’eventuale giudizio di opposizione al decreto segue il rito del lavoro e si conclude con una sentenza.
Al termine del procedimento, quale provvedimento può adottare il giudice?
Sia al termine della fase sommaria (e quindi con decreto) che ad esito della fase di opposizione a decreto (e quindi con sentenza), il giudice che riconosce la sussistenza di una condotta antisindacale impone al datore di lavoro di cessare la condotta antisindacale e, in aggiunta, di rimuovere gli effetti negativi di tale condotta.
Ad esempio, nel caso in cui la condotta antisindacale accertata consiste nell’aver il datore di lavoro collocato in cassa integrazione i lavoratori senza preventiva consultazione del sindacato, il provvedimento del giudice potrà imporre al datore di lavoro di rinnovare la procedura di consultazione sindacale, nonché la immediata riammissione in servizio dei lavoratori collocati in cassa integrazione.
Che accade se il datore di lavoro non si conforma alla decisione del giudice?
La particolarità dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori sta nella espressa previsione per cui se il datore di lavoro non ottempera al provvedimento emanato dal giudice incorre in una sanzione penale.
Ci si riferisce all’art. 650 del codice penale, espressamente richiamato dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, che punisce con l’ammenda fino ad euro 206,58 o con l’arresto fino a tre mesi chi non si conforma a provvedimenti giudiziali emanati per ragioni di interesse pubblico.
In aggiunta a quanto sopra, spesso accade che il giudice, su richiesta del sindacato, condanni il datore di lavoro a versare al sindacato stesso una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento (si tratta di una misura di coercizione indiretta, prevista dall’art. 614-bis del codice di procedura civile).
Conclusioni
L’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori disciplina il procedimento di repressione della condotta antisindacale. Si tratta di un procedimento speciale volto alla tutela delle libertà e delle attività sindacali; il procedimento è caratterizzato da tempi rapidi e sono previste apposite sanzioni per il caso in cui il datore di lavoro non ottemperi al provvedimento del giudice.
In definitiva, si tratta di un procedimento molto complesso per cui è necessaria l’assistenza di un avvocato giuslavorista.
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